ROMA – “E se tira Sinisa, e se tira Sinisa, e se tira Sinisa è gol…” recitava un vecchio coro cantato dai tifosi della Lazio in onore di Sinisa Mihajlovic, uno dei calciatori più iconici della Serie A tra gli anni ’90 e 2000 – e successivamente in veste di allenatore poco più tardi – venuto a mancare quest’oggi, all’età di 53 anni, dopo una lunga battaglia combattuta contro una leucemia mieloide acuta.
“La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic” hanno dichiarato i suoi familiari poco dopo l’ora di pranzo attraverso una nota, comunicando la triste notizia a tutto il mondo calcistico e non.
Portato in Italia dalla Roma, il rivoluzionario giocatore serbo – capace di vincere una Coppa dei Campioni con la Stella Rossa, qualcosa che nel calcio moderno è praticamente inimmaginabile – Mihajlovic ha ridefinito il ruolo di terzino, uno dei primi a muoversi nella retroguardia difensiva – all’occorrenza anche centrale – nonostante un piede sinistro letteralmente fatato.
“E se tira Sinisa, e se tira Sinisa, e se tira Sinisa è gol” cantavano infatti i tifosi della Lazio in Curva Nord, all’interno dello stadio romano dove scrisse una delle pagine più belle della storia biancoceleste – il secondo scudetto delle Aquile, dopo quello vinto nel ’74 – dopo essersi affermato con i blucerchiati della Sampdoria e, a seguito dell’avventura nella Capitale, aver militato nelle fila dell’Inter.
Un calciatore e, ancor prima, un uomo e un’icona dello sport e del calcio amato, ma spesso anche odiato, incompreso, che faceva parlare di sé non solo per come giocava in campo, ma anche per cosa dichiarava fuori da esso: politicamente scorretto, dalla “tigre Arkan” ai battibecchi in conferenza stampa, Mihajlovic ha spesso riempito le prime pagine dei giornali non solo per le sue tremende punizioni – le quali sarebbero comunque bastate per far spendere fiumi d’inchiostro.
“Arriva la bomba di Mihajlovic” recitava Christian De Sica in un suo vecchio film, facendo riferimento a quell’iconico tiro entrato ormai nella cultura popolare del nostro Paese: capace di realizzare ben 28 reti su punizione – di cui 3 in una sola partita –, in pochi dimenticheranno le facce dei portieri quando il serbo si apprestava a battere, tuttora detentore di due record assoluti nel nostro campionato.
“Se puoi sognare qualcosa, è perché lo puoi fare” disse una volta divenuto allenatore prima di un derby contro la Juventus, quando sedeva sulla panchina del Torino. Dalle punizioni contro le saracinesche della sua città natale – si dice fino a piegarle – a quelle calciate sui più grandi palcoscenici del mondo del calcio: attimi e momenti della storia di un uomo “unico, professionista straordinario, disponibile e buono con tutti, che coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia“, come scritto dai suoi familiari poco dopo la sua scomparsa, arrivata tanto, troppo presto.
Addio Sinisa. Mancherai a tanti. Anzi, proprio a tutti.
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