LATINA – Nella sua omelia di pomeriggio alle 18,30 in occasione della (per noi pontini) solennità di Santa Maria Goretti, patrona di Latina e dell’Agro pontino, il Vescovo Mariano Crociata ha affrontato anche il tema del ‘femminicidio’.
Passaggi rilevanti soprattutto «l’accostamento tra la nostra piccola Marietta e la serie delle innumerevoli vittime femminili della violenza maschile». In particolare, Crociata si è soffermato su due principali cause di ciò: «l’educazione inadeguata, soprattutto nei bambini» e poi gli effetti «della cultura radicale libertaria». Passaggi che rappresentano utili spunti di riflessione su un tema di rilevante importanza per la vita sociale dell’essere umano.
La festa di oggi è stata anche occasione, la scorsa settimana, per l’invio di un Messaggio di papa Francesco ai vescovi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno e di Albano con cui ha indicato Marietta come «testimone del perdono».
Di seguito il testo completo dell’omelia.
Quest’anno la festa risente in modo particolare della sua ricorrenza nel corso dell’anno giubilare straordinario della misericordia, come messo in particolare rilievo del Messaggio che papa Francesco ha voluto indirizzare alla nostra diocesi, insieme a quella di Albano, con riferimento ai luoghi del martirio e della morte della piccola santa. Ne avvertiamo fortemente la responsabilità, in quanto la nostra città e tutta la piana pontina sono affidate al suo alto patronato e questa parrocchia, che ne porta il titolo, ce lo ricorda con particolare evidenza quale seconda della città per fondazione. Abbiamo già avuto modo di accogliere e meditare l’autorevole testo magisteriale nei suoi temi essenziali, quali il servizio in famiglia, la spiritualità e il culto dell’Eucaristia, la fedeltà e la resistenza al male anche di fronte alla minaccia della forza bruta e alla volontà omicida, la pronta disponibilità al perdono e il desiderio che perfino l’offensore fosse ammesso con lei in paradiso. Nel contesto di una breve vita interamente vissuta nel segno di Dio e con il senso del bene, le letture ci aiutano a entrare con infinita discrezione in una interiorità profondamente animata dallo Spirito, che si manifesta con la fiducia nella forza di Dio contro ogni minaccia e oppressione (Sir 51,6b-12), nella certezza che forza e grandezza di Dio non hanno criteri umani di misura e di manifestazione, ma penetrano e operano anche, e forse ancora di più, in ciò che è umanamente debole per dare modo alla potenza dello Spirito di Dio di agire liberamente (1Cor 1,26-29; 2,14). E il Vangelo, infine, che svela il segreto della logica e della esistenza evangelica, capovolte rispetto a quelle del mondo perché vedono sorgere attraverso la morte la vita e vedono la vita affermarsi nel dono di essa fino a perderla ma nella certezza di ritrovarla ricambiata e ridonata nella forma irreversibile e gloriosa della risurrezione (Gv 12,23-25).
Questi spunti così suggestivi e importanti per la nostra vita suggeriscono di dare una direzione specifica alla nostra riflessione, anche raccogliendo un tema che è stato evocato in qualche intervento pubblico, e cioè la proposta di fare di S. Maria Goretti la patrona delle donne vittime di violenza. Non è su questo che vorrei esprimermi, anche perché non saprei dire al momento se una tale proposta sia opportuna e appropriata. Di sicuro, l’accostamento tra la nostra piccola Marietta e la serie delle innumerevoli vittime femminili della violenza maschile viene spontaneo. Insieme a voi, vorrei in questa sede sottolineare soprattutto ciò che tale accostamento ci permette di capire più profondamente e in che modo esso ci può aiutare a meglio vivere questo nostro tempo.
Non c’è dubbio che colpisce, almeno chi vi si soffermi anche solo brevemente, il crescendo del numero di casi di cosiddetto femminicidio che le cronache ci riferiscono. Bisognerebbe chiedersi che cosa un tale fenomeno significhi, in un tempo in cui dovrebbero risultare superati tutti gli stereotipi che hanno fatto della donna nel passato un oggetto, più che un soggetto, del dominio del maschio, del padre prima e poi del marito. Risulta davvero strano, dopo decenni di conquiste – o presunte tali – di diritti da parte delle donne e dopo il raggiungimento di una sempre più completa eguaglianza con gli uomini, che la riduzione della donna ad oggetto non solo continui come prima, ma addirittura arrivi a esprimersi in forme estreme per riaffermare, più o meno consapevolmente, una sottomissione che si voleva superata definitivamente, una cosificazione a parole respinta da tutti e in ultimo, in alcuni casi, la sua cancellazione con la morte quando essa tenti di sottrarsi definitivamente alla logica del possesso e dell’abbrutimento. Che cosa non ha funzionato? Qual è la causa di un simile paradosso?
Come autorevoli commentatori hanno messo in evidenza, sono diversi i fattori che concorrono a produrre certi effetti. Accenniamo solo a due di essi. Uno dei più importanti è l’educazione inadeguata, soprattutto dei bambini, ma non solo di essi. Inadeguata perché manca la percezione della distanza tra il desiderio e il suo appagamento. Se non c’è distanza, perché tutti i desideri vengono subito appagati, allora avviene che non c’è distanza tra me e l’oggetto del mio desiderio, e se non c’è distanza non c’è nemmeno differenza, esso mi appartiene a prescindere, senza poter distinguere tra cose e persone; è un desiderio diventato cieco, che agisce ciecamente. Manca la capacità di aspettare, di valutare, di decidere; il nostro cieco istinto decide al posto di noi, della nostra volontà e della nostra coscienza.
C’è un altro motivo – di tipo culturale – che si combina con questo. La cultura radicale libertaria, che non si accontenta di esaltare la libertà – cosa sacrosanta – ma afferma una libertà senza condizioni e senza limiti di nessun genere, promuove una sorta di culto di sé e della possibilità di fare anche di se stessi ciò che si vuole; solo che il sé per lo più si riduce all’istinto, al suo potenziamento e alla sua espressione senza limitazioni di sorta. La stessa pubblicità fa leva sugli istinti più elementari per associare i meccanismi del desiderio con i prodotti del mercato rendendoli il più possibile appetibili, ma facendo passare anche l’idea che è naturale e inevitabile seguire il proprio cieco istinto. Solo che l’uomo non è solo istinto e il grado di civiltà raggiunto, a tutti i livelli, è proporzionale esattamente al grado di orientamento e di guida della forza bruta dell’istinto.
Oggi è difficile fare questi discorsi, perché si pensa subito che siano repressivi. E invece non è così, perché saper governare se stessi, saper dire a se stessi sì o no a seconda delle situazioni e dopo una valutazione responsabile, questo è indice di umanità, mentre non lo è il seguire l’istinto cieco e irrazionale, come lo dimostrano le conseguenze estreme di tale modo di pensare e di vivere.
Santa Maria Goretti, al di là delle rappresentazioni oleografiche e devote, è un segno di tutto ciò, cioè di una umanità compiuta, educata e matura. Ad essa l’ha condotta una educazione umana e cristiana che le ha insegnato a distinguere tra bene e male, a conoscere la distanza e la differenza tra il desiderio e la sua realizzazione; soprattutto le ha insegnato la differenza tra piccoli e grandi desideri, e cioè che la persona umana è un essere desiderante che porta dentro di sé una sete di infinito, un desiderio infinito di vita a cui tutti i desideri vanno rapportati e che la fede indica come apertura illimitata a Dio quale vero appagamento del bisogno profondo che abita ciascuno di noi. In questa maniera si impara anche che ognuno di noi è fatto per Dio e che Dio è per ognuno di noi; e che c’è una grandezza nascosta in ciascuna persona che non può essere nemmeno lontanamente ridotta a meno di una persona, cioè a un oggetto di desiderio tra altri.
L’esempio di S. Maria Goretti ci aiuti a comprendere il tempo che viviamo e a comprendere anche noi stessi, il senso e il valore di ciascuno, per imparare e praticare relazioni improntate alla delicatezza e al rispetto, soprattutto coltivate con amore e verità alla presenza di Dio, al quale alla fine dovremo rendere conto di ciò che siamo e di ciò che abbiamo fatto.
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