Passata la fase adolescenziale di pessimismo leopardiano, passato il romanticismo scambiato per rivoluzione sessantottarda, raggiunto il traguardo della pensione, dopo 41 anni di lavoro, ero stato supportato da un ragionevole ottimismo nel 2019, ma ora avverto un’ insopprimibile “pesantezza dell’essere”, nel vivere momenti storici in cui, in Italia, a fronte di un “bollettino di guerra” del 1° dicembre 2020, di quasi 20.000 nuovi contagiati, quasi 800 morti ed oltre 56.000 morti, c’è chi disquisisce su una preposizione, ovvero se i morti siano da considerarsi per Covid 19 o da patologie preesistenti.
È scomodissimo e tristissimo trovarsi a fronte di un surreale dibattito su messe di Natale da anticipare alle ore 20, su presepi viventi da abolire, su cenoni con un massimo totale di congiunti o se sciare o meno nelle festività. È scomodissimo quando un cittadino positivizzato al Sars-Cov 2, potrebbe avere, da oggi, una speranza di vita a 3 settimane dal Santo Natale, prima intubato e poi tumulato.
Non trattasi di essere chiaroveggenti, avere il sesto senso, avere premonizioni ovvero “percezioni di ciò che avverrà”, presentimenti o presagi, ma precognizione, derivata da avvertimenti che il coronavirus ha dato sparsi nel globo terraqueo, ma che non sono stati generalmente colti.
Non trattasi di interpretare quelle che non sono evidenze scientifiche ma funeree realtà, utilizzando strumenti psicologici e psicoanalitici, scomodando Freud che interpretava i sogni premonitori semplici coincidenze o Jung che li riteneva messaggi dell’inconscio collettivo e portatori di un sapere profondo.
Personalmente mi attengo alla realtà effettuale e socraticamente so di non sapere. Se continueremo a ragionare con opportunismo economicista, anziché con un minimo di atavica saggezza popolare, non dovrà pretendere la famosa patente di Rosario Chiarchiaro di pirandelliana memoria, chi avrà la franchezza di sostenere che, con o senza vaccini, al netto di più o meno opportuni DPCM, il 2021 sarà ancora piagato dal coronavirus.
Dare ragione, da laureato in lettere ed appassionato di storia e filosofia, a mia nonna analfabeta che conosceva solo i proverbi, è cosa amara, ma va bevuta: Chi è cagione del suo male, pianga sé stesso
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