Il Buongiorno Dell’Amico. Buongiorno, in memoria di Evandro Dell’Amico

In memoria di un Evandro Dell'Amico che non sono io

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Non per invidia sociale voglio scagliarmi contro un’icona del giornalismo e dei talk show televisivi che ogni anno, ad ogni nuovo libro edito, lucra immeritatamente ed imperversa sulle emittenti pubbliche e private che gli fanno una smaccata pubblicità gratuita.

Voglio evitare di chiamarlo per nome e cognome, ricordando solo il nome di un comune imenottero. L’accostamento, della prima parte, Perché l’Italia amo’ Mussolini” con la seconda, “come è sopravvissuta alla dittatura del virus”, sia una subdola “puntura” all’intelligenza ed all’interpretazione critica della storia. Nelle comparsate salottiere televisive il soggetto anzi citato si spertica a dimostrare che “il fascismo fece anche cose buone”, riportando bolsi luoghi comuni che evito di citare perché trattasi di sguaiata azione di revisionismo e rimozione storica degli eventi. Sono indignato, in quanto nipote omonimo di un I.M.I., uno dei 700.000 internati militari italiani che si rifiutarono di continuare la guerra e non vollero aderire alla Repubblica Sociale di Salò. Quel NO, al fascismo asservito al nazismo di Adolf Hitler, prima e dopo l’8 settembre 1943, lo pagarono con la deportazione nei “campi di lavoro” in Germania. Per gli I.M.I. venne studiata una particolare condizione giuridico-militare: in quanto non considerati prigionieri di guerra, ma lavoratori coatti, non furono neppure assistiti dalla C.R.I Internazionale o Italiana. Vennero chiamati gli “schiavi di Hitler” ed uno di essi, Evandro Dell’Amico (1924-1945) di cui porto il nome, fu deportato, dal 9 settembre 1943, nello Stammlager IV F n.598, Hartmannsdorf, in Sassonia. Nel suo breve epistolario, narra gli stenti patiti causa turni di lavoro massacranti e una fame devastante. Quando fu liberato dagli Americani, per le sue condizioni di salute, fu trasferito all’Ospedale Maggiore di Verona, ove, senza il conforto dei familiari, si spegneva, il 13 aprile 1945. Su mio zio, ho scritto, con grande dolore, nel 2019, il libro “In mio nome, mai più” in cui narro la sua storia di militare ed uomo di fede dell’Azione Cattolica di Carrara. Nel dicembre dello stesso anno, mi sono recato in visita ai luoghi dell’orrore nazista, ad Auschwitz e Birkenau, ove nelle camere a gas  si consumò l’Olocausto degli ebrei di ogni nazionalità, tra i quali gli italiani.

La senatrice Liliana Segre è divenuta l’emblema delle vittime delle Leggi Razziali fasciste del 1938. Il mio libro, riedito nel 2020, è a divulgazione gratuita, patrocinato dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio della Regione Toscana, dalla Provincia di Massa Carrara, Comune di Carrara, Massa, ANPI MS ed altre associazioni democratiche ed antifasciste. L’8 dicembre 2019, dopo la presentazione ad ottobre nel Comune di Carrara, è stato divulgato a Massa in un’iniziativa organizzata dall’Azione Cattolica ed il Giorno della Memoria 2020 è stato presentato nei Consigli Comunali Straordinari di Carrara e Massa. Queste sono le storie da raccontare e non chi, attraverso una probabile metamorfosi kafkiana, da imenottero si è trasformato in giornalista scrittore che straparla di fascismo.


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