Santino Belli, nato nel 1957, è stato uno dei primi giocatori che ho allenato. Lo guardavo giocare sul mitico campo in cemento della parrocchia Immacolata, un playground di quelli di una volta. Notai il tiro mortifero di Santino, che da fuori bucava la retina in continuazione. Gli parlai immediatamente, il giorno dopo era in palestra per allenarsi nella categoria Allievi che vinse il campionato. Belli fu convocato dal settore squadre nazionale della Fip a un raduno a Roma diretto dai coach Primo e Cerioni, era una promessa del basket italico L’anno successivo, sempre all’Immacolata, Santic – così veniva chiamato richiamandosi ai talenti jugoslavi – venne colpito da ictus. Immediato il trasporto al pronto soccorso dell’ospedale Goretti, da lì in ambulanza all’Umberto I di Roma dove i medici sono stati eccezionali rimettendolo in un mese parzialmente in sesto, dopo essere arrivato in gravissime condizioni. La sua carriera è praticamente finita quel giorno, solo qualche apparizione con la maglia della Sicma Sud in Promozione. Poi Santino si è
trasformato in capotifoso dell’Ab Latina che raggiunse la serie B, era il leader indiscusso dei supporter
nerazzurri. Nella pallacanestro ci sono tanti aspetti del gioco, tutti importanti, ma quello probabilmente più affascinante e che balza prima di tutti all’occhio, è il saper fare canestro, un po’ come il goal nel calcio.
Bisogna fare una premessa: il saper tirare bene, è solo uno dei due aspetti, che incidono nella capacità di
fare canestro, perché conta anche la capacità di costruirsi i tiri, eludendo in vari modi i difensori avversari.
Santino stupì tutti nel lontano 1972 segnando 54 punti sul campo in asfalto di Sora, si era formato un
“montarozzo” a sette metri dal canestro. Da quel punto non sbagliava mai, io ero ai sette cieli in panca. Un portento.
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