Un bicchiere di spuma al bar dell’Oratorio. Era questo il premio che gli organizzatori elargivano ai ragazzi del Cos Latina negli anni 60/70. A ricordarlo sono i compagni di gioco di Vincenzo D’Amico che ieri hanno voluto salutare per l’ultima volta il famoso campione che ha iniziato a tirare i primi calci proprio con loro.
Anche se mancava più di qualcuno, come per esempio Alfonso Panigutti, famoso per la sua grinta da mastino e morto un anno fa, tutti gli altri: Fernando Mogno, Maurizio Guercio, Luigi Bruschi, Roberto Forcina, Elio Giancola, Claudio Tibaldi, Antonio Facondo, Franco Pezzella, Renato Stefani e l’allenatore Angelo Grasso, ieri pomeriggio erano lì al Cambellotti ad omaggiare il loro amico.
Ritrovandosi dopo tanto tempo, l’amarcod diventa facile. E non si è parlato certamente solo del bicchiere di spuma. Vi ricordate le partite e le botte contro la Fulgorcavi? E quando giocavamo sul campo di sassi di Cori? O all’Anfiteatro di Sezze. Oppure con la neve a Bassiano.
E il pallone? Il pallone era di cuoio. Normalmente pesava 450 grammi, ma quando si bagnava il peso diventava di 1 kg.
Le magliette per giocare erano di lana e anche quelle, quando si bagnavano arrivavano al ginocchio.
Poi ci fu la grande novità: il campo dell’Oratorio che era di pozzolana e ti lascio immaginare cosa poteva diventare con la pioggia, fu il primo ad essere illuminato. E questo grazie a don Russo.
I tuffi nel passato continuano poi su di lui. La carriera calcistica di Vincenzo D’Amico era partita dal Nicolosi. A 7 anni giocava a pallone contro i muri delle case e già da allora sorprendeva tutti per la precisione dei suoi tiri
Insomma dimostrò subito di essere il più bravo di tutti, sebbene fosse il più piccolo. Faceva cose fuori dal comune perché possedeva tanta tecnica e tanta tattica.
In campo era sempre lui a tirare le punizioni, mentre ai rigori ci doveva pensare Fernando Mogno.
I due, amici e calciatori, si sono rivisti lo scorso anno in occasione di un incontro organizzato da Franco Iovino con le vecchie glorie del Latina calcio, Damiano Coletta incluso. “Fernando è stato il mio capitano”, disse a tutti pieno di affetto e di orgoglio, abbracciandolo commosso, per poi lasciargli una dedica a testimonianza della loro amicizia lunga più di 50 anni.
In quella occasione tra aperitivi e noccioline, pur parlando di calcio e della sua incredibile carriera, confessò a tutti di avere un cancro. Lo combatto come se fossi in campo e dovessi tirare una punizione, disse. Lo affronto da vero leone. E vincerò….
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