George Steiner: La scomparsa di un “maestro”

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Essere a casa propria nel mondo della cultura significa essere a casa propria in molti mondi, in molti linguaggi: significa trovarsi a casa propria nella storia delle idee, nella letteratura, nella musica, nelle arti.                                                                            George Steiner

È morto ieri all’età di 90 anni nella sua casa di Cambridge uno degli scrittori che abbiamo da sempre seguito nel corso della nostra formazione culturale. Leggendo attentamente i suoi illuminanti saggi abbiamo appreso che narrare è la forma vitale dell’uomo e che è la narrazione che ci rende umani, poiché raccontare per  via orale o per iscritto corrisponde sempre, in un modo lineare, alla esperienza umana. Grazie alle sue idee espresse sempre in maniera chiara abbiamo imparato a pensare che «scrivere è un lavoro artigianale, manuale, e che occorre fatica».

George Steiner francese di origine ebraica, poliglotta (parlava il francese, il tedesco e l’inglese)  è stato uno dei rari critici letterari, saggista e scrittore che hanno avuto ampia notorietà e influenza internazionale non solo per i suoi saggi sulla letteratura (Morte della tragedia, Tolstoj o Dostoevskij, Linguaggio e silenzio, le Antigoni) ma anche per la sua critica culturale e sociale (Nel castello di Barbablù. Vere presenze, Nessuna passione spenta). Per oltre trent’anni (dal 1966 al 1997) è stato critico del New Yorker molto apprezzato.

In Steiner non hanno mai fatto presa teorie letterarie di tipo formalistico, né una idea di critica limitata allo studio di categorie stilistiche e questioni di poetica. La sua critica è sempre stata morale e sociale secondo l’orientamento prevalente nella tradizione moderna dalla fine del Settecento in poi. Il tema centrale delle sue idee e riflessioni nasce dalla tragedie politiche e belliche provocate dai totalitarismi novecenteschi e riguarda le ragioni per cui l’alta cultura non è stata capace di impedire o arginare l’esplosione di una barbarie sistematica senza precedenti.

Come critico letterario eclettico e uomo di lettere con la sua attività professionale si è dedicato al paradosso del potere morale della letteratura e della sua impotenza di fronte ad un evento come l’Olocausto. È stato sempre convinto che la cultura da sola non salva dalla barbarie.                                                                                                        Nel ciclo delle sue lezioni tenute nel 1990 nell’Università di Glasgow affermava che può destare «stupore il fatto che si può usare il discorso umano per amare, costruire, perdonare, ma anche per torturare, odiare e distruggere». Ricordiamo sempre le sue parole: «Noi sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, che può suonare Bach e Schubert, e andare a fare la sua giornata di lavoro ad Auschwitz la mattina» Per George Steiner, indimenticabile maestro di vita,  «La parola è un’arma a doppio taglio, serve per esprimere l’amore ma anche l’odio é uno strumento di irrazionalità e di follia».

 


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