LATINA- “ Io sono nato nel 1922 a Napoli, in una città che ha molti volti e che recita sé stessa; dove è ambigua, come in ogni recita, la linea di demarcazione tra vero e falso; sono vissuto inoltre in un clima di falsa coscienza diffusa, come quello del fascismo”.
Sono alcune righe de “Il fallimento della consapevolezza”, uno degli ultimi libri scritti da Raffaele, “Dudù”, La Capria.
Il cantore della bellezza delle acque mediterranee, delle “sue” Napoli, in particolar modo Posillipo, Capri e Procida, si è spento questa mattina alla soglia dei cento anni.
Una vita vissuta scrivendo, testimoniando, amando profondamente quella Napoli e quel Sud che, per La Capria, già miravano all’Europa. Il maestro per eccellenza fu Benedetto Croce: “ Per molti di noi Croce fu un primo maestro, quello che ci insegnò una verità molto importante per stabilire le distanze dal fascismo: e cioè che “la concezione della Storia come Storia della libertà ha come suo completamento pratico la libertà come ideale morale” (proprio con queste parole iniziava la sua Storia d’Europa)”.
Nel 1961 scrive il suo primo capolavoro, il libro che non soltanto gli farà vincere il Premio Strega, ma che si guadagnerà un posto in prima fila fra i classici della letteratura italiana, Ferito a morte. In tutto il libro c’è la Storia di una città e di un mondo, Napoli ai tempi della guerra, e la storia di Raffaele la Capria. Lascerà Napoli per assaporare la “Dolce Vita” romana, come moltissimi altri intellettuali partenopei. Par di sentire l’invettiva di Eduardo: “Fuitevenne!”.
“Viviamo in una città che ti ferisce a morte o t’addormenta, o tutt’ e due le cose insieme”, si legge a pagina 95 di un libro amato fin da subito da Goffredo Parise, Geno Pampaloni e dalla Ortese.
La Capria a dieci anni si traferisce con la famiglia a Palazzo Donnanna, meravigliosa dimora seicentesca affacciata sul mare, a Posillipo. Il palazzo fu costruito dal viceré di Napoli Ramiro Guzman, duca di Medina, dove prima sorgeva il cinquecentesco Palazzo della Sirena. Era il suo regalo per la bellissima moglie, Donna Anna Carafa.
Dudù poteva tuffarsi direttamente dalle finestre del Palazzo, coltivando l’amore per il mare, per la pesca subacquea e quindi i cefali, le spigole, i polpi nello scintillio mediterraneo che, sì, ferisce a morte per l’insondabile mistero delle sue acque.
Sposato con l’attrice Ilaria Occhini, i due possedevano una villa mozzafiato ad Anacapri, dalla cui terrazza maestosi si dispiegavano i Faraglioni. L’amore per l’isola, il disincanto e la rabbia per ciò che era diventata – quindi l’eterna lotta civile fra Storia e Natura presente in tutta l’opera di La Capria – saranno temi centrali in tutta la sua opera.
Dal suo libro Capri e non più Capri: “Tutti scomparvero i pesci e neppure uno rimase vivo a nuotare nelle acque di questo mare. No, uno rimase, un cefalotto che s’era smarrito, un giorno si fermò davanti alla punta del mio fucile. Mi guardò, ci guardammo, sorpresi entrambi. Lui era piccolo e inerme di fronte a me ma non scappava. Lo puntai. Una voce disse: Spara, su spara, porta a termine la tua bella impresa! E io abbassai il fucile. Tutto il mio armamentario, maschera pinne coltello, mi parve all’improvviso sproporzionato, ridicolo, mi vergognai di quel mare vuoto, e per un istante mi sentii dall’altra parte, dalla parte di quel cefalotto solitario, alla mercè di tutto e di tutti, come ogni minacciata creatura vivente”.
In una conversazione con l’amico Umberto Silva, fra una chiacchiera ed un Martini molto dry, La Capria disse: “Non è la fine che mi fa paura, quel che mi spaventa è l’eternità. Quando il frutto è maturo, deve cadere dall’albero, disfarsi, concimare il terreno dove nascerà un altro albero che darà un altro frutto, e così sempre, perché questo è il ciclo della natura”.
Ciao Caro Dudù, ti ritroveremo non soltanto nei tuoi libri, nei due Meridiani Mondadori a te dedicati, ma anche nei tramonti su a Posillipo e, come fossero carezze, bagnandoci nelle acque di quel Mare Nostrum che amavi tanto.
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