De Marchis e Zaccheo: storia breve di una nostalgia

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Seguo la politica da quando sono un bambino. Da allora, avrò avuto tredici o quattordici anni, non mi son perso neanche un consiglio comunale. Talvolta resistevo fino a notte fonda tanta era la passione per la mia città, per la cosa pubblica, per il discorso politico nel suo complesso.

A Latina la politica è morta con la caduta dell’amministrazione guidata da Vincenzo Zaccheo. E’ morta non solo perché i pavidi di allora scelsero lo studio di un notaio al dibattito franco e duro che sarebbe potuto sgorgare nell’Aula del Consiglio Comunale, ma anche perché la sinistra non comprese che si sarebbe fatta complice e correa di un’operazione spregiudicata ed impolitica che avrebbe portato, poi, alla stagione non propriamente brillante di Giovanni Di Giorgi ed infine , colpo di teatro, all’imprevisto Damiano Coletta. Qualcuno dirà che la mia premessa è intrisa di passato. Può darsi, ma ricordo l’antico adagio latino “Historia magistra vitae”.

Da allora la politica non mi appassiona più. Di rado metto piede in Consiglio Comunale ché la qualità del dibattito, della cultura politica e persino della lingua italiana sono  davvero giunti ai minimi termini.

Vi sono delle eccezioni, indubbiamente. Enrico Forte, per esempio, rappresenta in questo attuale e sgangherato consiglio comunale l’ultimo baluardo di una politica che possa dirsi davvero tale. Perciò l’abbiamo più volte consigliato di non dimettersi da Piazza del Popolo ché gli interessi suoi propri e quelli più generali della città gli impongono di rimanere dov’è.

Citavo Zaccheo. Lo si potrà certamente criticare, l’uomo ha miliardi di difetti ma conosce a menadito le regole e le consuetudini della politica. Ama questa città ed il territorio pontino nel suo complesso di un amore vero sincero viscerale. Quando interviene affascina, rapisce, sovente grida.

Quando passeggiava per Latina era il Sindaco, l’autorità massima cittadina. Tutti salutava e tutti lo salutavano. Interrogato, ti sapeva sgranare l’albero genealogico di una famiglia come il curato fa con il rosario. Elegante e profumato, forse anche troppo. Maniacale nel curare la sua estetica, si specchia in ogni vetrina o finestrino d’auto che trova per la strada.

La parte sinistra dell’Aula del Consiglio è orfana di una figura di prima grandezza che caratterizza quel mondo almeno dagli anni ’90: Giorgio De Marchis.

Giorgio quando lo sentivi intervenire ti chiedevi come mai fosse lì, in quell’Aula e non in Consiglio Regionale o, perché no, in Parlamento. Ad una visione politica sapeva unire una capacità amministrativa fuori dal comune. Il ragazzo studiava lavorando e facendo il pendolare. Si è fatto da solo, ha patito la gavetta ed ora son felice di saperlo realizzato nella professione.

Fu vittima di quello che probabilmente il Segretario Comunale dei dem Cozzolino definirebbe “una guerra tra bande” e fu cacciato dal ruolo di Capogruppo del Pd, dopo avere preso migliaia di voti alle regionali. Lo defenestrarono semplicemente perché uno più bravo incute timore e va sterilizzato. Non fu una scelta particolarmente felice perché a succedegli fu Cozzolino che, benché fosse capogruppo, non è stato rieletto alle elezioni.

Con De Marchis parlare di politica è un piacere, anche quando siamo su posizioni differenti. Studia, approfondisce, è un interlocutore che ti dà filo da torcere e per me che soffro la noia è salvifico.

Ho voluto raccontarvi, sia pur brevemente, due uomini politici la cui assenza pesa come un macigno nel panorama politico latinense e che per me hanno rappresentato e continuano a rappresentare gemme rare al decadimento dell’attuale classe politica.

Vincenzo Zaccheo, già Sindaco di Latina

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