Il termine “Antropocene” venne coniato dal meteorologo olandese Paul Crutzen (1933 – 2021), a cui nel 1995 fu assegnato il Premio Nobel per la Chimica, assieme al chimico statunitense Frank Sherwood Rowland (1927 – 2012) e al chimico messicano Mario Molina (1943 – 2020), per gli studi sulla chimica dell’atmosfera, in particolare riguardo alla formazione e alla decomposizione dell’ozono. Di Clutzen, infatti, era già stato pubblicato il libro Benvenuti nell’antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la terra entra in una nuova era (Mondadori, 2005) secondo cui “Il pianeta terra è entrato in una nuova fase della sua storia. La presenza e il comportamento degli esseri umani, infatti, sta influenzando direttamente il clima, in modo così radicale da sfuggire a ogni nostra possibilità di controllo”.
Tuttavia, l’IUGS (Unione Internazionale di Scienze Geologiche) ha approvato recentemente la decisione “di respingere la proposta di un’era dell’Antropocene come unità formale di scala temporale geologica“, confermando una votazione precedente. Alcuni membri del comitato elettorale hanno espresso dubbi sul modo in cui è stata presa la decisione e sulla correttezza della procedura, argomentazioni respinte dalla UIGS, la quale ha ritenuto che, sebbene una nuova epoca geologica non sia propriamente costituita, il termine “Antropocene” continuerà ad essere ampiamente impiegato. “Rimarrà un indicatore inestimabile dell’impatto umano sul sistema Terra”, ha precisato l’organizzazione, nota per la sua rigidezza nei confronti dei cambiamenti. “L’Antropocene costituisce una fase di profonda trasformazione del pianeta a causa dell’uomo, ma non può essere considerato un’era geologica: dopo 15 anni di discussioni, la bocciatura arriva da una sottocommissione dell’IUGS, che ha respinto l’idea di mettere fine all’Olocene, l’era geologica che ebbe inizio 11.700 anni fa”.
Lo zoologo Marco Bologna, docente dell’Università di Roma Tre che, presso il Dipartimento di Scienze, svolge ricerche in Zoologia, Ecologia e Sistematica, a tal proposito, all’ANSA ha spiegato che pur occupandosi di Antropocene ha condiviso la scelta fatta dall’Unione Internazionale dei Geologi. “Esso non si può considerare come era geologica, ma come un termine che descrive in modo ampio la profonda trasformazione che l’uomo sta apportando al pianeta; … stiamo provocando una mostruosa trasformazione del clima, fatto che non si vuol far capire per questioni di natura economica, abbiamo eliminato ecosistemi, usiamo troppe risorse e viviamo in ambiente altamente inquinato. Credo ci sia poco da soffermarsi su questioni formali. L’Antropocene non è una questione geologica, è una trasformazione globale ben diversa”.
Sulla base di questa convinzione il botanico Stefano Mancuso, docente presso l’Università di Firenze, nel saggio “Fitopolis (ndr:dal greco ϕυτόν, pianta, e πόλις, città), la città vivente” (ed. Laterza, 2023) ha scritto che:… bisognerebbe che le città del futuro, siano esse costruite ex novo o rinnovate, riportassero all’interno del nostro nuovo habitat, trasformando le città in fitopolis, città viventi in cui il rapporto fra piante e animali si avvicini al rapporto che troviamo in natura: 86,7% piante contro 0,3% animali (uomini compresi). Si tratterebbe, quindi, di destinare gran parte della superficie di una città alle piante, l’esatto contrario di quanto accade oggi”.
Le piante – esseri autotrofi, cioè esseri che svolgono autonomamente la propria funzione di nutrimento -, infatti, usando l’anidride carbonica CO2 presente nell’atmosfera terrestre, assurgono al fondamentale compito, di produrre C6H12O6, cioè glucosio (monomero da cui per successive concatenazioni si ottiene il polimero cellulosa) e ossigeno O2 secondo la reazione endotermica (cioè che richiede energia; in questo caso l’energia luminosa a disposizione proveniente dal sole)
6CO2 (gas) + 6H2O (liq) + energia solare –> C6H12O6 (sol) + 6O2 (gas
Essa è nota come fotosintesi clorofilliana che avviene grazie alla clorofilla (di cui la forma più diffusa universalmente è la clorofilla a, C55H72O5N4Mg, riportata in figura, i cui elementi chimici sono C, carbonio; H, idrogeno; O, ossigeno; N, azoto; Mg, magnesio), il pigmento verde delle piante. Si noti che per ogni sei molecole di CO2 si ottengono sei molecole di ossigeno O2. In altre parole la fotosintesi clorofilliana sottrae l’anidride carbonica dall’atmosfera, per cui a più alberi corrisponde una minore quantità di CO2 nell’aria.
Di contro gli animali – essere eterotrofi, cioè esseri che vivono come saprofiti o parassiti – utilizzano l’ossigeno O2 dell’aria per la respirazione secondo la reazione esotermica (cioè che produce energia)
C6H12O6 (sol) + 6O2 (gas) –> 6CO2 (gas) + 6H2O (liq) + energia
Questa energia prodotta è necessaria all’organismo animale perché avvengano reazioni metaboliche (endotermiche) che gli consentono di vivere. In altra parole si instaura un certo do ut des energetico (ti do perché tu mi dia), cioè un rapporto equilibrato tra l’energia entrante e quella uscente che rende efficiente l’organismo.
Si noti che per ogni sei molecole di ossigeno O2 respirate si ottengono sei molecole di anidride carbonica CO2. In natura, dunque, ciò che le piante producono viene usato dagli animali secondo il rapporto: 86,7% piante contro 0,3% animali, che è molto sbilanciato nei confronti delle piante. Ne deriva che in una città di questo rapporto non si è mai tenuto conto perché come scrive Mancuso “La città, dunque, costruita seguendo il solo metro dell’organizzazione animale (uomo), è come un esperimento mal riuscito, un mostro in parte saprofita (ndr: organismo vivente che si nutre di materia organica morta), in parte parassita (ndr: organismo vivente che vive a spese di un altro): come un animale consuma quantità di risorse illimitate e accumula in intorno a sé montagne di scarti parzialmente consumati”. Ne consegue che la città, avendo, a differenza di quello umano, un metabolismo estremamente poco efficiente che non può durare a lungo, o la si fa diventare sempre più verde avvicinandola al rapporto naturale già accennato, “coperta di alberi e di vegetazione, in comunicazione diretta con la natura circostante” oppure diverrà invivibile.
Francesco Giuliano
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