LATINA – Una lavoratrice ha portato in Tribunale H&M. Il giudice ha condannato la società e ordinato che la donna fosse trasferita immediatamente per poter assistere suo figlio disabile.
A novembre 2018, una donna viene trasferita dal punto vendita H&M di Latina nello store di Serravalle Scrivia (Alessandria) ma dopo qualche mese si vede costretta a ritornare a Latina. Il trasferimento temporaneo con una riduzione oraria da 40 ore settimanali a 20 concesso dall’azienda – al fine di poter assistere il proprio figlio minore di 8 anni portatore di handicap – prevede però una data di scadenza fissata a dicembre 2020, motivo per cui la mamma chiede all’azienda di poter ottenere un trasferimento definitivo nella sede di Latina per proseguire con l’assistenza al figlio disabile.
L’azienda ha continuato in questo lasso di tempo ad assumere personale e ha rigettato la richiesta della dipendente, giustificando la non volontà al trasferimento con “l’impossibilità di incrementare il monte ore del punto vendita di Latina in via definitiva, in un periodo di crisi generale conseguente alla nota situazione pandemica”.
La lavoratrice attraverso la Filcams CGIL Frosinone Latina, ha portato in Tribunale H&M e il giudice ha condannato la società, ordinando il trasferimento immediato e definitivo della lavoratrice oltre al pagamento delle spese legali.
Per il Giudice: “La società ha posto a fondamento del diniego al trasferimento anelato dalla ricorrente, una propria scelta imprenditoriale (quella di non incrementare il monte ore ‘definitivo’ del punto vendita di Latina) senza però spiegarne e documentarne le ragioni economiche ed organizzative che la giustificherebbero, quasi come se bastasse la valutazione autoreferenziale del datore di lavoro.
Non è stato offerto al processo, insomma, alcun elemento che consenta al Tribunale di verificare se il trasferimento della ricorrente sarebbe davvero in grado di ledere, in maniera significativa, le esigenze economiche, organizzative e produttive del datore di lavoro, traducendosi in un danno per l’attività della parte datoriale”.
“Siamo soddisfatti del risultato ottenuto per Antonella e per il suo bambino e ci auguriamo che chiunque si trovi in una situazione simile, ci contatti per risolvere qualsiasi ingiustizia esercitata dalle aziende e ci auguriamo che i datori di lavoro imparino, attraverso questa sentenza, che le persone non sono solo numeri di loro proprietà, ma che ognuno ha una storia personale” conclude la Filcams.
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