Un centinaio di lavoratori sfruttati e in un totale stato di soggezione per mandare avanti un’azienda pontina del settore florovivaistico di Sabaudia. L’accusa di caporalato ha portato all’emissione di due misure cautelari nei confronti dei titolari della ditta individuale.
I militari della Guardia di Finanza di Latina, coordinati dalla Procura della Repubblica di Latina, a seguito di indagini svolte sotto la direzione del procuratore aggiunto, Carlo Lasperanza e del sostituto procuratore, Giuseppe Miliano, hanno dato esecuzione al provvedimento del giudice del tribunale di piazza Bruno Buozzi, Mario La Rosa, anche per truffa ai danni dell’Inps.
L’operazione di polizia economico-finanziaria, originata da un controllo in materia di lavoro sommerso eseguito dai finanzieri di Sabaudia, ha permesso di accertare come l’impresa abbia impiegato nel lavoro agricolo, nel corso degli ultimi due anni, complessivamente 96 lavoratori non in regola.
Le condizioni di lavoro ed i metodi di sorveglianza pressanti e degradanti, attuati dagli indagati, sarebbero stati tali da generare nei lavoratori stranieri costantemente provati da un profondo stato di bisogno e dalla necessità, spesso, di mantenere economicamente le famiglie d’origine un totale assoggettamento psicologico al datore di lavoro.
In alcuni casi, infatti, i lavoratori sono stati costretti a rinunciare al riposo settimanale e alla fruizione delle ferie.
Le Fiamme Gialle hanno, inoltre, ricostruito l’illecito profitto accumulato dall’impresa grazie al reato di sfruttamento della manodopera irregolare, reati ascritti agli indagati. In particolare da ottobre 2019 a maggio 2020, l’impresa ha beneficiato di un guadagno illecito, corrispondente alle retribuzioni non corrisposte, quantificato in oltre 123.000 euro.
In relazione a tali risultanze investigative, l’autorità giudiziaria pontina ha disposto quindi il divieto di dimora nell’intera provincia di Latina per i soggetti coinvolti, due italiani cotitolari dell’azienda agricola, oltre al sequestro preventivo per equivalente dell’importo di 123.000 euro pari all’illecito profitto del reato.
Lo sfruttamento dei braccianti agricoli, oltre a consentire indebiti vantaggi sul piano previdenziale, formativo e della sicurezza nei luoghi di lavoro, ha altresì permesso all’azienda agricola di risparmiare sensibilmente sul costo della manodopera – a discapito delle fasce più deboli – e di attuare una grave concorrenza sleale in danno degli altri operatori economici onesti del settore, traducendosi, di fatto, in un vantaggio competitivo in termini di concorrenza sleale verso le imprese che hanno operato regolarmente e nel pieno diritto dei lavorator
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