ROMA – Dal 1 gennaio è stata ripristinata la decurtazione dello stipendio dei dipendenti pubblici per i primi 10 giorni di Covid. Il Presidente del sindacato dei medici CIMO-FESMED Guido Quici: «Intervenga il Ministero della Salute»
I contagi da Covid-19 tra gli operatori sanitari, negli ultimi 6 mesi, sono aumentati del 325%: nel mese di giugno l’Istituto Superiore di Sanità ne ha registrati 19.571, mentre alla fine dello scorso anno – quindi in piena quarta ondata – risultavano positivi 4.612 operatori sanitari.
«Una settimana di isolamento per gli oltre 19.500 sanitari che non possono lavorare a causa del Covid-19 – commenta il Presidente della Federazione CIMO-FESMED Guido Quici – corrisponde complessivamente a oltre 700.000 ore di lavoro che non verranno garantite ai pazienti. Assenze che si sommano a quelle croniche causate dalla carenza di personale e a quelle dei sanitari in ferie. Una situazione che sta diventando sempre più insostenibile per chi deve cercare di coprire i turni e per i malati».
«Ma quello che fa ancora più rabbia – continua Quici – è che dal 1 gennaio è stata ripristinata la decurtazione della componente accessoria della retribuzione dei dipendenti pubblici, e quindi anche dei sanitari, per i primi 10 giorni di malattia anche in caso di positività al Covid-19. Con la fine dello stato d’emergenza, infatti, è decaduta la norma che aveva equiparato la malattia da Covid-19 al ricovero ospedaliero, che non prevede la riduzione dello stipendio. Adesso, dunque, centinaia di colleghi che sono in isolamento si vedono anche ricevere una busta paga più povera. Chiediamo al Ministero della Salute di intervenire con un decreto per sanare questa ingiustizia, ripristinando quanto previsto nelle prime settimane d’emergenza», conclude Quici.
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