Benedetto Croce: Soliloquio

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Benedetto Croce                                                                                              Soliloquio e altre pagine autobiografiche

Le pagine autobiografiche di Croce non sono «né confessioni, né ricordi, né memorie», bensì pensiero. (Giuseppe Galasso)

Nella breve Prefazione al libro, Benedetto Croce. Soliloquio e altre pagine autobiografiche (Adelphi Edizioni), lo storico Piero Craveri afferma che il filosofo Benedetto Croce (1866-1952), nato a Pescasseroli negli Abruzzi, non avrebbe approvato che fossero raccolte pagine autobiografiche, perché considerava la biografia di un individuo, compresa la sua, strettamente legata alla meravigliosa attività civile e politica, alla sua prodigiosa opera di pensiero e alla sua vasta produzione storiografica e letteraria.

Benedetto Croce, già nel 1915, aveva scritto un compiuto profilo autobiografico, Contributo alla critica di me stesso, nel quale aveva fornito una valutazione del lungo percorso della sua filosofia. Croce, con impareggiabile dedizione e passione, aveva tenuto fin dagli anni giovenili, un diario, Taccuini di lavoro, pubblicato quarant’anni dopo la morte in cui annotava i suoi studi e le sue ricerche con la rigorosa intenzione di «invigilare sé stesso» e «per esercitare una specie di controllo su me stesso e mettermi sull’avviso se mi lasciassi andare a perder tempo».

Della sua affascinante «autobiografia mentale» Croce, come documento importante della vita intellettuale e civile italiana ed europea, ha parlato nelle sue numerose opere storiche, filosofiche e letterarie e nelle oltre centomila lettere della sua corrispondenza

Giuseppe Galasso, responsabile della raccolta autobiografica di Croce, ha voluto che le principali vicende della lunga vita del grande filosofo, straordinariamente operosa e intensamente vissuta, fossero rigorosamente collegate alla sua filosofia. Con finezza e competenza critica ha costruito una antologia capace di far vivere dall’interno a ogni lettore curioso il dialogo che lo stesso Croce ha intrattenuto con sé stesso e di svelare le ragioni profonde della sua straordinaria attività di pensatore, di storico e di letterato.                                                                                                                                                                                                                                                                      Benedetto Croce della sua Infanzia, caratterizzata dalla scomparsa dei genitori e della sorella nel terremoto di Casamicciola, nell’isola di Ischia, del 1883, ha conservato nella memoria vivissimi ricordi legati ai racconti ascoltati e alla gioia della lettura dei primi romanzi e storie. L’amore per la storia, per la letteratura e l’arte erano scaturiti dall’interesse che la madre aveva per il passato e per i monumenti antichi.

I cugini del padre di Benedetto Croce erano i due illustri zii Bertrando e Silvio Spaventa, personalità di spicco della vita intellettuale e politica d’Italia, giovane nazione appena unita; a quest’ultimo, come tutore, fu affidato il giovane Benedetto, rimasto orfano, dopo la parentesi del collegio dei preti. Insieme al fratello Alfonso, Benedetto, dopo la triste sventura familiare, si trasferì a Roma in casa di Silvio Spaventa, autorevole uomo politico del tempo.

Furono anni dolorosi e cupi, durante i quali il giovane Benedetto non ebbe amici, non partecipò a svaghi di nessuna specie, si recava senza alcun interesse e senza dare esami, all’università per il corso di giurisprudenza. Frequentava biblioteche, in particolare la Casanatense, per fare ricerche, senza conoscere l’arte dello studiare, prendendo appunti sui libri letti e predisponendo schede di autori studiati. Nel secondo anno di soggiorno a Roma, caratterizzato da un pensiero pessimistico della vita e dall’idea di adempiere ai doveri morali, ascoltò le lezioni del filosofo Antonio Labriola, assiduo frequentatore della casa di Silvio Spaventa.

In questo periodo giovanile ebbe modo di leggere libri di filosofia, senza pensare che in seguito avrebbe scoperto la sua vocazione filosofica soprattutto dopo il rientro a Napoli dove frequentò una società frequentata da bibliotecari, archivisti, eruditi e curiosi.

Con il suo profondo desiderio di Verità e di Libertà, Croce cercò di superare i drammi e le ansie della vita, svolgendo un’intensa attività culturale nei vari settori dell’estetica, della filosofia del linguaggio, della storia, della letteratura, della storia dell’arte, della logica, dell’etica, dell’economia, della politica e della dottrina del diritto.

La sua densa opera intellettuale, accompagnata da una poderosa produzione, è servita per uscir fuori, con modeste ambizioni, dalle tenebre esistenziali alla luce, come dimostra la richiesta all’editore di stampare l’Estetica dell’espressione e linguistica generale (suo primo grande libro di filosofia che ebbe uno straordinario successo  e fondò la sua fama di filosofo e di critico) con non più di cinquecento copie e di pensare di fondare la rivista “La Critica” (1902) per un centinaio di lettori benevoli (che proseguirà fino al 1942).

In seguito intensificò gli studi di storia e di filosofia, di estetica e di critica letteraria raccolti nell’opera Filosofia della pratica. Economica ed etica (1909), «una pagina di rara potenza di pensiero e di prosa filosofica» con la quale espose, con una prosa asciutta e controllata, il suo sistema filosofico. Con modestia Croce era convinto che ogni sistema filosofico risolve un insieme di problemi storicamente dati e predispone le condizioni per la posizione di altri problemi, cioè di nuovi di sistemi filosofici. Infatti alla fine di ogni ricerca si intravedono le prime incerte linee di un’altra indagine.

Benedetto Croce, con la sua famiglia (moglie e quattro figlie), visse a Napoli, in Via Trinità Maggiore, vicina alla chiesa del Gesù Nuovo, dove, secondo quanto scritto e raccontato nelle Storie e leggende napoletane, la sua casa era una grande biblioteca ricca di volumi, sempre aperta agli studiosi e ai giovani che si rivolgevano a lui.

Pur essendo immerso nei suoi studi, il filosofo partecipò attivamente alla vita politica e sociale del suo tempo, come dimostrano le sue lucide e accorate parole di commento scritte dopo la catastrofe di Caporetto. Con le sue convinzioni liberali Croce, al termine della “grande guerra”, espose (L’Italia dal 1914 al 1918, Pagine sulla guerra), con ampia larghezza di vedute, le sue acute e profonde riflessioni sulla tragedia umana della guerra, sulla meritata e celebrata vittoria degli italiani, sul rispetto dei morti del nostro popolo (degli alleati) e anche degli avversari, e sul destino futuro della vecchia Europa.

Benedetto Croce, considerato grande maestro di pensiero, ha avuto un ruolo importante nell’opinione pubblica e nella formazione della classe dirigente. Durante il fascismo, non comprese subito le rapide iniziali fortune del regime e la minaccia alla libertà degli italiani per l’incombente dittatura, appoggiò nel 1922 l’ingresso del suo amico Giovanni Gentile nel primo governo Mussolini e rifiutò di sostituirlo, come ministro dell’istruzione, dopo le dimissioni, perché era contrario al fascismo. Infatti, nel 1925 pubblicò e diffuse il Manifesto degli intellettuali antifascisti e nei Taccuini di lavoro ricorda la incursione degli squadristi napoletani (1926), come spedizione punitiva, contro la sua casa.

In queste illuminanti pagine dei Taccuini è possibile cogliere la tristezza e l’amarezza dei tempi imperiali che il filosofo, senatore a vita, avverte per il clima morale e politico della dittatura e per la decadenza della vita civile e sociale degli italiani, che si manifesta negli atti esteriori (paura, sottomissione, violenza) e nei discorsi quotidiani.

Negli anni ’20 Croce scrisse le quattro maggiori opere storiche, l’ultima delle quali Storia d’Europa nel secolo decimonono, pubblicata nel 1932, fu dedicata allo scrittore e saggista tedesco, Thomas Mann, con il quale condivideva, in quei tempi bui, sentimenti, pensieri e ideali riguardanti la «religione della libertà», la fede e la passione per la Verità.

Negli anni ’30 Croce, pur continuando a essere riconosciuto maestro di gran parte della vita culturale dell’Italia libera e punto di riferimento per gli antifascisti, avvertì una pesante stanchezza e un triste turbamento per i tempi difficili in tutta Europa, caratterizzati dagli imperanti totalitarismi di Stalin, Mussolini e Hitler. Egli sentì l’amarezza e il dolore per coloro che si erano allontanati e avevano tradito gli ideali di libertà.

Nei suoi Taccuini di lavoro annotò lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, i principali avvenimenti del conflitto, la caduta del fascismo, l’arresto di Mussolini e la nomina del Governo Badoglio. Le sue annotazioni lo indussero a riflettere sull’intera esperienza politica vissuta da lui e sul significato della figura di Mussolini, responsabile del danno e dell’onta in cui ha gettato l’Italia.

Nel dopoguerra i suoi pensieri riguardarono soprattutto l’anelito di vivere in un tempo di pace, in una Europa che potesse progredire e non ricadere in una nuova feroce barbarie, e trovare il coraggio di lavorare instancabilmente per un avvenire migliore. Croce continuò, infatti, fino agli ultimi giorni della sua vita a lavorare e a riflettere in maniera impegnativa con i suoi scritti caratterizzati sempre da una chiarezza espositiva e da una profondità di sguardo, rimanendo una complessa figura intellettuale, fedele al messaggio di umanità e di libertà cui aveva consacrato l’intera sua esistenza.


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