Abbiamo scritto mille volte intorno alla crisi della sinistra. Se ne dibatte in tutti i pizzi, specie a sinistra, dove bastonarsi vicendevolmente i testicoli è una succulenta specialità della casa.
Tuttavia, come sottolinea lucidamente Michele Serra su “Repubblica” di stamane, dovremmo forse interrogarci su un’altra crisi ben più grave, quella della destra italiana.
Il Pd sarà pure un manicomio (noi che lo abbiamo frequentato per un po’ potremmo pure confermarlo!) epperò nonostante faide interne, lotte di potere e sotto-potere, alla fine tutti insieme celebrano i congressi, c’è chi vince e chi perde, maggioranze e minoranze e così via.
Quali sono le ragioni della crisi della destra, evidenti in una caricatura reazionaria estremista persino squallida in toni e contenuti?
Il punto è che a tenere insieme quel che si riteneva essere la destra (in realtà un’accozzaglia di tutto e niente) è stato per vent’anni un corpo soltanto, quello di Silvio Berlusconi. Un corpo che oggi, complici l’età e gli acciacchi che da essa derivano, appare fiaccato stremato assai lontano dalla consueta vitalità a cui ci aveva abituato il Cav.
Quel corpo, che in vent’anni ha tenuto insieme socialisti, democristiani , i padani di Bossi, i post fascisti e persino qualche comunista rinnegato (leggi Sandro Bondi) non è più in grado di riprodurre l’incantesimo. S’è frantumata l’immagine di quel “centrodestra” frutto della fantasia del Cav. Un gioco, un’illusione di un’abile prestigiatore arrivato a fine corsa.
E ora? Ora c’è Salvini, la Meloni, tutta gente cresciuta e pascolata alla corte berlusconiana. Un po’ difficile sarebbe stato per Giorgia Meloni diventare Ministro della Repubblica senza la benedizione del Cav, per dire.
Sono spariti i liberali che Berlusconi tentò, sopratutto nella prima fase del suo esperimento politico, di far essere maggioritari nella cultura di Forza Italia: Martino, Pera, Urbani, Colletti, Guzzanti e così via. Adesso ci sono Salvini, Fontana, Centinaio e via di seguito.
Il Ministro dell’Interno può impunemente affacciarsi, a Forlì, al balcone dove era solito stringere i pugni ai fianchi Mussolini, mimando un atteggiamento ed un frasario fascistoidi, dimenticando una sempiterna massima del buon Carlo Marx :”Quando la storia si ripete, si tramuta in farsa”.
Il programma politico è costituito da frasi del tipo :”Non mollo”, “me ne frego”, “molti nemici molto onore”, “ordine e disciplina”. Tutta paccottiglia che Gianfranco Fini non si sarebbe sognato mai di pronunziare, lui che arrivò persino a dire – con la kippah in testa- che il fascismo fu “il male assoluto”. Ipse dixit l’ultimo Segretario del Movimento Sociale Italiano, il successore di Giorgio Almirante.
Insomma, la destra pareva tentare una maturazione in chiave europea, simil francese: repubblicana, laica, rigorosa ma dignitosa. Purtroppo quel tentativo fallì per due ragioni: il corpo di Berlusconi, ai tempi del “che fai, mi cacci?” di Fini era più vivo che mai, tenuto in amorevole custodia da uno stuolo di escort, per non dir mignotte e poi perché Fini, castigatore dei vizi privati del Cav (ricordo una maglietta di Futuro e Libertà con la scritta :”se Ruby, non puoi governare”) cadde vittima di una ragazza che sarebbe potuta essere tranquillamente una olgettina, Elisabetta Tulliani. La signora, dopo aver frequentato Gaucci padre e figlio ( un curriculum che il Presidente della Camera non poteva certamente ignorare), convolò a nozze con la terza carica dello Stato e nacquero due pargolette. Il tutto finì a sbattere a Montecarlo, ponendo fine all’impresa di Gianfranco.
Immaginatevi un Fini oggi libero di potersi presentare alle elezioni senza rischiare il lancio degli ortaggi. Sarebbe stato il naturale federatore di una destra liberal e conservatrice indisponibile ad arrendersi alla volgarità e alla sub cultura leghista.
Sono convinto che un centrodestra presentabile potrà sorgere soltanto con il trapasso del Cavaliere di Arcore, unico vero ostacolo ad una riorganizzazione vera di quell’area politica. Nel futuro potrebbe esserci una Donna. Penso a Mara Carfagna, ad esempio.
Se Di Maio fa il capo politico perché non Mara, passata con grande studio e sacrificio, dalle sfilate alle aule parlamentari?
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