All’indomani del nuovo Dpcm, fa discutere la chiusura di teatri e cinema

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Il Teatro della Pergola di Firenze

Pare che nella fase più acuta del secondo conflitto mondiale, a chi lo incalzava chiedendo perché non venissero tagliati i fondi per il Balletto, Winston Churchill abbia risposto: “Allora per cosa
combattiamo?”.

Il caos pandemico in cui ci troviamo oggi, da molti paragonato per l’appunto a uno scenario bellico, mette in luce ancora una volta come l’attenzione riservata all’istruzione e alla cultura da parte della classe dirigente, sia l’indicatore principale del grado di benessere di un Paese.
La decisione di rinunciare, per almeno un mese, al tempo libero e allo svago (produttivo) ha suscitato una valanga di critiche, piovute addosso al Ministro per i Beni culturali Dario Franceschini, che con un video messaggio ha ribattuto: “Non si è capita la gravità della situazione. Bisogna ridurre la mobilità. Mi impegno affinché la chiusura sia la più breve possibile”
Ma l’apprensione dei cittadini dice altro: anche se dovesse essere breve, il provvedimento non smetterebbe comunque di sembrare profondamente ingiusto. Lo stop a teatri e cinema, dove il
distanziamento è sempre stato rispettato, con fatica e grande senso civico, mentre nei mezzi pubblici si continua a viaggiare ammassati, pare una conseguenza della politica poco lungimirante
di Governo e Regioni dei mesi scorsi. I dati non possono essere smentiti: l’Agis riporta che dal 15 giugno 2020 al 3 ottobre 2020, 2.782 spettacoli con una media di 130 presenze l’uno per un
numero totale di 347.262 spettatori, hanno provocato solo un contagio. Per questo motivo sono scattate le proteste di attori, registi, ballerini, cantanti, musicisti e gestori di sale, compagnie,
fondazioni, già esasperati dalla crisi, che ora prevedono conseguenze economiche disastrose.

L’appello è condiviso da tanti personaggi illustri, tra cui il direttore Riccardo Muti, che ha dichiarato: “L’impoverimento della mente e dello spirito è pericoloso e nuoce anche alla salute del corpo. Definire come “superflua” l’attività teatrale e musicale è espressione di ignoranza, incultura e mancanza di sensibilità”.


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