TERRACINA – A 40 anni dalla morte di Aldo Moro si sta realizzando a Terracina, nei luoghi da lui frequentati per tanti anni, un docu-film sulla vita dello statista assassinato nel 1978 dalle Brigate Rosse.
L’attore protagonista del film documentario è Sergio Castellitto, mentre la maggior parte delle riprese riguarda le camminate che Aldo Moro era solito fare, sia sulla spiaggia (dalla fine e dorata sabbia) sia sul marciapiede del lungomare Circe.
Oltre, evidentemente, alla sceneggiatura di avvenimenti di vita familiare accaduti nei pressi e all’interno della residenza estiva del presidente della Democrazia Cristiana.
Abitazione, che ricordiamo, era posta sul finire del lungomare Circe, e meglio conosciuta come la casa dai “mattoni rossi”.
A 40 anni dalla sua morte violenta e a 20 anni dalla rievocazione che Terracina gli tributò con una celebrazione eucaristica dell’allora vescovo Pecile, ripercorriamo attraverso un testo scritto a quei tempi da un giovane sedicenne terracinese, il Moro “runner”.
Proseguiremo da questo momento in poi stralciando il già pubblicato testo, inadatto oggi alle rinnovate esigenze dei nuovi mezzi di comunicazione.
“… Se si sa tutto o quasi della vita di Moro politico, docente universitario, servitore dello stato, in pochi però conoscono il Prof in versione “runner” terracinese, e soprattutto cosa ha rappresentato per Terracina negli anni trascorsi in città: nel periodo estivo ma anche quando i molteplici e gravosi impegni istituzionali e politici gli permettevano di vivere i riti quotidiani della comunità.
Ho conosciuto Aldo Moro in una calda estate del 1974, durante una delle sue solite passeggiate sul marciapiede del lungomare Circe, dove la mia comitiva sopravviveva alle “erculee fatiche” dei molteplici bagni di mare e dalle incessanti discussioni in puro e genuino cazzeggio balneare.
C’è da riferire, in via preliminare, che il sessantotto era passato da qualche anno, ma noi ragazzi stanziali a sud dell’Impero romano, a dire il vero, poco o nulla era pervenuto, a dimostrazione di quanto era piccolo il mondo in cui vivevamo la nostra esistenza giovanile.
Il ’74 fu un anno che ricordo bene, non solo perché conobbi Aldo Moro, ma perché la sua tragedia umana bloccò, di fatto, la stagione del terrorismo, con il suo immondo sistema contrassegnato da: omicidi di sindacalisti, giornalisti, poliziotti, magistrati, inermi cittadini.
Noi della comitiva estiva di ragazzotti perdigiorno, oltre ad attentare alle virtù femminili (meglio non indigene) non avevamo altro che pensare alle peculiarità offerte dalla bella stagione.
Ma a quel tempo però vedevamo anche passeggiare sul lungomare Circe, assorto dei suoi pensieri, Aldo Moro: il grande personaggio politico al vertice dei poteri dello Stato, e venimmo mossi dalla insana tentazione di fermarlo per uno scambio di “opinioni”.
In tutta onestà, confesso, che del deciso proposito nessuno di noi aveva avuto nelle settimane a seguire l’ardire di fermare il “runner” Moro, anche perché era sempre seguito a distanza dalla sua scorta.
Un giorno vedendolo sbucare dalla moltitudine di deambulanti del lungomare, con la sua andatura particolare, caratterizzata da lunghe falcate a ritmo costante, seguito in strada dalla Fiat 130 blu, guidata dal maresciallo Leonardi, presi coraggio e lo fermai per salutarlo.
Restammo a parlare per pochi minuti, mentre tutto intorno s’infittiva il campanello dei “bagnanti e stanziali” curiosi.
Avevamo con quell’approccio aperto una via di comunicazione con l’Onorevole, che era ben disposto a dialogare, e ottimo viatico per approfondire la sua conoscenza.
A noi, francamente, importava poco o nulla delle problematiche politiche, della lotta per conquistare i vertici dello Stato, e neanche avevamo richieste per eventuali “raccomandazioni”.
Interessava solo mettersi a confronto “fisico” con un personaggio visto e sentito solo in televisione, quindi fuori dagli schemi istituzionali.
Le soste con Moro nelle settimane a seguire si moltiplicarono, come le adunanze dei postulanti e dei soggetti contrari alla sua visione politica.
Nei break c’era chi tentava di baciargli le mani in segno di “soggezione”, chi chiedeva un posto di lavoro per il figlio disoccupato, chi gli infilava bigliettini di “suppliche” nella giacca, senza che Moro mostrasse segni d’insofferenza.
Anzi accettava quasi con rassegnazione cristiana quello che gli capitava.
Infine giunse il momento, considerate le sovrabbondanti persone che si fermavano con noi a parlare con Moro, che il maresciallo Leonardi scorse possibili rischi alla persona in custodia e fu costretto a interrompere quello che era divenuto un carosello quotidiano.
Trascorse l’estate del 1974 e il 2 luglio 1975 lo Stato italiano m’invia la cartolina “azzurra”: una sorpresa che mi fece maturare un’assenza dalla città per circa 2 anni.
Ed è da quell’assenza forzata la perdita di ogni contatto estivo con Aldo Moro, con la comitiva dello stabilimento del “Conte Bomba” che si disperse per intraprendere percorsi di vita diversi, e come per la teorizzata politica delle convergenze parallele di Moro, finimmo nel vederci a distanza senza mai incontrarci.
Dopo pochi mesi Aldo Moro fu poi rapito dalle Brigate Rosse, le quali dopo un’avvilente carcerazione lo assassinarono barbaramente nel garage della “prigione del popolo”.
Morte che fu devastante per i suoi familiari, ma anche per tutti quelli che lo avevano conosciuto e apprezzato: come uomo mite e alla mano, fine intellettuale e statista vero.
Per noi della ex comitiva del “Conte Bomba” la perdita di un mito irripetibile.
E.L.
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