LATINA – Addio a Marchionne, il ricordo di Christian Papa per il manager che ha riportato in alto il marchio Fiat: «Da sabato non dormo per la sorte ingiusta che lo ha colpito».
Nella galassia Fiat–Fca la scomparsa di Sergio Marchionne ha lasciato il segno.
A raccontare cosa abbia significato Marchionne e come sia stata vissuta la sua improvvisa malattia arrivano le parole dell’Ad di AutoItalia – Gruppo Eco Liri, Christian Papa.
Lo abbiamo raggiunto nel suo ufficio in via Vespucci, sempre in prima linea nella sede pontina della sua azienda profondamente legata ai marchi del gruppo Fca.
«È da sabato sera che non ci dormo – racconta il dottor Papa -, una notizia che mi ha sconvolto non tanto per le ripercussioni legate all’azienda, ma per la sorte ingiusta che ha riguardato l’uomo.
È stato un po’ come perdere un pezzo di famiglia.
Ho avuto modo di vederlo tante volte nei vari meeting a cui eravamo invitati e ogni volta sentirlo parlare era una lezione di vita.
Le sue parole erano per me fonte di ispirazione, anche se non nego che in alcuni momenti il suo lavoro non ha aiutato il nostro della rete vendita, ma capivo le sue necessità di risanare una grande azienda italiana, se non la più grande.
Marchionne – prosegue l’Ad di AutoItalia – ha preso Fiat nel 2004, tecnicamente fallita e l’ha portata ad essere uno dei grandi player mondiali.
La visione, le idee, la strategia tutto di lui lasciava affascinati. Così come la grande scommessa vinta con Chrysler, in cui è stato lungimirante avventurarsi.
È vero che con Chrysler la Fiat è diventata una multinazionale, ma prima c’era stato anche il successo planetario del lancio della nuova 500.
Oggi tutti hanno negli occhi la sua ultima uscita pubblica con la consegna della Jeep all’Arma dei Carabinieri, ma io vorrei ricordare anche la penultima in cui sottolineava come il debito di Fca fosse stato di fatto azzerato e come ora l’azienda avesse le risorse per investire pesantemente in ricerca e innovazione.
Quello che non posso accettare sono le critiche di chi parla senza conoscere i fatti, infangando anche sui social la memoria di un grande uomo e un grande manager italiano.
Gli rimproverano le sedi legali e fiscali all’estero ma perché non ci interroghiamo sulle cause che hanno generato queste scelte. Evidentemente la legislazione italiana e la fiscalità del nostro paese non erano in grado di sostenere la crescita del gruppo Fca. È stato fatto tutto alla luce del sole, nel rispetto delle regole e in paesi che non sono paradisi fiscali, ma al contrario fanno parte dell’Unione Europea. Chiediamoci perché non è stato possibile farlo in Italia ma si è dovuto andare all’estero per tutelare anche e sopratutto il lavoro nel nostro paese dove Fiat ha ancora 30mila dipendenti diretti e con l’indotto arriva a 100mila.
Gli rimproverano di aver chiuso stabilimenti in tutta Italia, quando l’unico stabilimento chiuso è stato quello in Sicilia per ragioni logistiche.
Purtroppo se Sergio Marchionne non avesse fatto queste scelte anche dolorose oggi avremmo un’azienda italiana fallita e quasi 100mila posti di lavoro in meno. Un vero e proprio dramma per il Paese che lui ha evitato.
Infine, fatemi ricordare la sua straordinaria umiltà. Era a capo di una multinazionale ma salutava chiunque gli rivolgesse la parola e aveva una parola gentile con tutti.
Ricordo quando ci invitò a Torino, insieme a tanti altri manager del gruppo Fiat, per un concerto di musica classica di cui era un grande appassionato. Così come ricordo la visita allo stabilimento di Cassino alle 5 del mattino: lui arrivava da Torino, quindi immaginate a che ora era partito.
Era il primo ad imporsi sacrifici ed era dedito al suo lavoro, forse anche quest’ultimo aspetto ha aiutato la sua malattia.
Fca perde un grande manager, ma l’Italia perde un grande uomo».
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