A gennaio ritorna, come ogni anno, il problema delle polveri sospese nell’aria soprattutto nelle grandi città a causa dell’assenza di precipitazioni piovose. Le polveri sospese nell’aria vengono indicate con il termine Particelle sospese che indicano appunto le particelle solide (fumi) o liquide (nebbie) in sospensione nell’aria, e cioè la fuliggine, la polvere inorganica, la cenere, il polline, ecc. . Di esse circa il 60% proviene dai mezzi di trasporto a motore, il 14% circa dalle centrali termoelettriche in cui si brucia soprattutto olio combustibile o carbone per produrre elettricità, il 12% circa dalla produzione industriale, e la restante parte dal riscaldamento domestico e altro.
Le particelle possono essere distinte in fini, con un diametro minore o uguale a 1 micrometro, e in grosse, con un diametro superiore a 1 micrometro (il micrometro corrisponde a un millesimo di millimetro). Quelle fini provengono dalle emissioni industriali, dalla combustione e dalla trasformazione di gas immessi nell’atmosfera, mentre quelle grosse si ottengono soprattutto dai processi meccanici come la frantumazione di rocce.
Nell’atmosfera urbana si ha approssimativamente, dal punto di vista chimico, la seguente distribuzione delle particelle sospese, sulla base delle relative dimensioni: le particelle fini sono costituite da composti policiclici aromatici (benzopirene, ecc.), da ioni ammonio, ioni solfato, ioni nitrato, e da elementi come carbonio, piombo e, in tracce, arsenico, zinco, cadmio, ecc. . Tra questi, alcuni sono potenzialmente cancerogeni come i policiclici aromatici. Le particelle grosse, invece, sono costituite da composti del silicio, di alluminio, di ferro, ecc.
Per poter comprendere la pericolosità delle polveri bisogna innanzitutto conoscere l’apparato respiratorio che è diviso in tre parti: a) extratoracica (naso), in cui si depositato le particelle più grosse con un diametro maggiore di 10 micrometri; b) tracheo-bronchiale, in cui si accumulano sia le particelle fini che grosse con diametro inferiore a 10 micrometri; c) polmonare in cui si accumulano le particelle fini.
Le polveri che si accumulano nella parte extratoracica producono l’infiammazione del naso e della gola, mentre quelle che si depositano nella successiva parte tracheo-bronchiale possono provocare malattie croniche come l’asma, la bronchite, l’enfisema e, talvolta, anche neoplasie. La rimozione delle particelle con diametro minore e uguale a 10 micrometri, che si depositano negli alveoli polmonari, può avvenire in periodi molto lunghi che vanno da alcune settimane a vari anni. Esse possono causare malattie croniche come infiammazioni e fibrosi.
Tra i fattori che influiscono sui depositi nei vari tratti respiratori si evidenziano la variazione della velocità di flusso dell’aria e della frequenza respiratoria, la portata del flusso, la via dell’inalazione e le patologie respiratorie preesistenti. Una persona, infatti, che è soggetta ad uno sforzo fisico aumenta la ventilazione e quindi è esposto a dosi di polveri più elevate. Ancor di più una persona affetta da patologie respiratorie.
Le particelle, di cui si parla in questi giorni, indicate con la sigla PM10 hanno un diametro minore di 10 micrometri mentre quelle indicate con PM2,5 hanno un diametro inferiore a 2,5 micrometri.
Il rischio sanitario è tanto più elevato quanto più piccola è la dimensione delle polveri e quanto più grande è il contenuto degli agenti tossici sopra elencati.
Francesco Giuliano
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