Spaccio di droga, torture, estorsioni e pestaggi, un episodio dei quali avvenuto ai danni di una concessionaria della provincia di Cremona: queste le accuse nei confronti di sei carabinieri di una caserma di Piacenza, che sono finiti in manette (uno ai domiciliari). Complessivamente sono 12 le misure di custodia cautelare in carcere (5 militari dell’Arma, 6 cittadini italiani, un magrebino), oltre a 5 misure di custodia cautelare agli arresti domiciliari (un carabiniere e 5 cittadini italiani), 4 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria (3 carabinieri e un finanziere), un obbligo di dimora (sempre per un carabiniere) e una denuncia a piede libero nei confronti di un civile, italiano.
L’episodio contestato risale al febbraio scorso, quando uno degli indagati si è recato insieme a uno spacciatore in una concessionaria del territorio cremonese, aggredendo e pestando il venditore affinché gliela cedesse a un terzo del suo valore. In merito ci sono delle intercettazioni, in cui uno degli arrestati, che quel giorno accompagnava il militare, esprime frasi piuttosto esplicite su quanto accaduto: “Hai presente Gomorra? (…) guarda che è stato uguale (…) Tu devi vedere gli schiaffoni che gli ha dato”.
Ma sono anche molti altri gli episodi contestati, raccolti in oltre 300 pagine di ordinanza firmate dal gip Luca Milani (insieme ai vice Antonio Colonna e Matteo Centini e al comandante della Guardia di Finanza, Daniele Sanapo), presentate in conferenza stampa dal procuratore capo di Piacenza, Grazia Pradella.
Le indagini, durate circa sei mesi, ossia il periodo del lockdown, hanno portato alla luce uno scenario agghiacciante, fatto di arresti ingiustificati, estorsioni, pestaggi, addirittura torture, per portare avanti una rete di spaccio di droga che avrebbe avuto a capo proprio i militari della Caserma Levante (tutti tranne uno che per ora risulta estraneo ai fatti), che è stata messa sotto sequestro, per la prima volta in Italia.
“Tutti gli illeciti più gravi sono stati commessi in pieno lockdown e con disprezzo delle più elementari regole di cautela imposte dalla presidenza del Consiglio” ha raccontato il procuratore, illustrando i fatti. “Comportamenti violenti che ci hanno convinto a sequestrare la caserma per eventuali accertamenti”.
Secondo quanto ricostruito dal Gip, nell’attività dei militari coinvolti e dei loro presunti complici c’era il tentativo di approvvigionamento giornaliero di stupefacenti per il territorio di Piacenza mentre la normale attività di spaccio era ferma a causa del lockdown. I militari, secondo l’accusa, erano “in contatto con spacciatori di livello elevato, e avevano avviato un’attività di staffetta con macchine che trasportavano stupefacente”.
Per reperire la droga la sequestravano agli spacciatori e ai pusher che non facevano parte del loro giro: una piccola quantità veniva messa a disposizione dell’autorità giudiziaria, una parte andava ai loro informatori per ripagarli delle informazioni che gli fornivano, e il resto veniva messo sul mercato per lo spaccio attraverso i loro pusher.
“Non avevano solo l’obiettivo di procacciare droga, ma volevano anche emergere rispetto agli altri colleghi, risultare più bravi, facendo vedere che eseguivano molti arresti” ha spiegato il procuratore. “Tuttavia buona parte di questi si basavano su circostanze inventate e falsamente riferite al pubblico ministero di turno”.
Persone ammanettate, minacciate, spesso percosse. In un caso, quello dell’8 aprile, è stato riconosciuto addirittura il reato di sequestro di persona e di tortura: da un’intercettazione telefonica emerge infatti “l’utilizzo dell’acqua per non far respirare la persona” racconta il procuratore. “Più volte nel corso della registrazione la si sente piangere e si percepiscono chiaramente versi del soggetto, come se stesse soffocando a causa dell’ingestione forzata di liquidi”.
L’input all’indagine è arrivato da due differenti direzioni: da un lato la segnalazione da parte di un ufficiale dell’Arma di un’altra provincia, che ha raccontato quanto stava accadendo alla Polizia Locale di Piacenza nell’ambito di una testimonianza su un maltrattamento, e dall’altro lato un’indagine avviata dalla Guardia di Finanza su alcuni spacciatori.
L’arma dei carabinieri è un istituzione secolare che non può essere infangata e non può morire per alcune mele marce,ma una riflessione si impone comunque. Una riflessione che deve essere a 360 gradi.
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