La letteratura e il Coronavirus

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Abbiamo bisogno di parole nuove per nominare questo presente imprevisto, inaudito, alieno… Catastrofe, inferno, tragedia sono le parole giuste per questi giorni.                                                 Ivano Dionigi

Il direttore musicale Riccardo Frizza, nel dirigere la Messa da Requiem di Gaetano Donizetti nel cimitero monumentale di Bergamo, davanti al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e ai 243 sindaci della provincia lombarda, ha detto: «Sarà una preghiera per chi non c’è più, per chi è stato portato via all’improvviso dal Covid 19. Un ricordo carico di affetto per chi è morto da solo in ospedale, senza una stretta di mano, senza una carezza, senza aver avuto nemmeno il tempo di salutare i propri cari».

Anche noi intendiamo, attraverso la letteratura, ricordare questi morti insieme a quanti, purtroppo numerosissimi, nella storia sono stati colpiti dalle varie epidemie. La letteratura nel corso dei secoli ha offerto pagine esemplari che hanno aiutato migliaia e centinaia di lettori a comprendere cosa e come si vive, e quanto si soffre, durante il terribile e angosciante periodo delle epidemie.

Il tema della malattia ha percorso, senza soluzione di continuità, la storia della letteratura occidentale, dalla Bibbia a La peste di Camus, dove il morbo è divenuto simbolo della fragile e precaria condizione umana. Molte sono le opere storiche, letterarie, artistiche e teatrali che si possono ricordare per onorare le vittime e capire meglio di ciò che sta avvenendo oggi in ogni angolo del pianeta Terra.

Secondo il filosofo della scienza Telmo Pievani da tre miliardi di anni «il virus circola di corpo in corpo, contamina, altera e svolge benissimo il suo mestiere, assai elementare, di fare copie di se stesso e moltiplicarsi… il virus pare una macchina perfetta dal punto di vista evolutivo».                                                                                                                                                         Le prime epidemie della storia umana, secondo alcuni studiosi, si sono avute nei periodi caratterizzati da una maggiore concentrazione della popolazione all’interno dei centri urbani. Nell’antichità sinonimi di epidemie erano le pestilenze, i flagelli, le calamità o più semplicemente le pesti, le malattie infettive gravi che colpivano intere popolazioni.

La peste di Atene, durante la quale morì lo stesso Pericle, è stata raccontata e descritta dallo storico Tucidide e dal filosofo e poeta Lucrezio. La causa di questa epidemia è stata, secondo alcuni, attribuita al sovraffollamento di Atene invasa dagli abitanti del contado spinti dagli spartani e non ci furono mezzi per combatterla.

Lo storico ateniese, testimone e protagonista dell’epidemia, che nessuno era in grado di frenare, nel narrare nel II libro delle Storie la Guerra del Peloponneso, si sofferma sul diffondersi dell’evento contagioso, verificatasi nell’anno 430 a.C., che ebbe effetti molto gravi sulla popolazione, e scrisse: «in nessun luogo si aveva memoria di una pestilenza così grave e di una tale moria di persone. Infatti non erano in grado di fronteggiarlo né i medici, che all’inizio prestavano le loro cure senza conoscerne la natura, e anzi erano i primi a morire in quanto più degli altri si accostavano agli infermi, né nessun’altra arte di origine umana».                                                                                                              Anche Lucrezio nel finale del poema De rerum natura (6, 1179) ha descritto la peste di Atene. Si possono trovare in questo testo consonanze raggelanti con i nostri giorni. Infatti si parla «di tempi stipati di cadaveri accatastati» e che «in città erano impediti persino i riti della sepoltura». Anche la pietà parentale era messa a dura prova poiché «quanti erano accorsi al capezzale dei loro cari, incorrevano nel contagio». La medicina anche allora mostrava tutta la sua incertezza e impotenza silenziosa e timorosa, e balbettava di fronte ai tentativi di arginare la peste.                                                                                               Nell’Alto Medioevo le epidemie nei diversi paesi europei sono state ridotte e meno intense poiché le popolazioni residenti in città erano meno numerose per le invasioni barbariche. Comunque altro evento storico di grande rilevanza, che la letteratura ha riservato alla «mortifera pestilenza», è stato la peste nera del 1348, che imperversò in Europa provocando uno stato settico con emorragie cutanee multiple che portò alla riduzione di un terzo della popolazione europea dell’epoca, alla morte di 20/25 milioni di persone. Questa malattia epidemica fu descritta con straordinaria capacità narrativa da Giovanni Boccaccio nel suo capolavoro il Decamerone.

La calamità, che in Italia colpì la città di Firenze, fa da cornice al racconto delle novelle da parte della brigata di giovani costretti ad isolarsi in campagna per difendersi dalla minacciosa malattia, di cui lo stesso Boccaccio fu testimone oculare e vittima indiretta in quanto perdette il padre, altri cari familiari e gli amici.                                                                                                             Nel descrivere il contagio della peste, lo scrittore di Certaldo scriveva, anticipando la necessità del distaccamento sociale invocato oggi dal Covid-19: «E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s’avventava a’ sani, non altramenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate».                                                                                                            L’epidemia maggiormente conosciuta e studiata sui banchi di scuola è certamente la terribile peste del 1630 che devastò l’Europa, sullo sfondo delle atrocità senza fine della Guerra dei Trent’anni, e che è stata descritta in due capitoli (XXXI e XXXII) da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi. La vita di alcuni personaggi del romanzo (don Rodrigo, don Ferrante, Fra Cristoforo, la piccola Cecilia…) è contrassegnata dalla peste che colpì indiscriminatamente ricchi e poveri, colpevoli e innocenti, potenti e miseri, forti e deboli, padroni e servitori, vecchi e giovani, malvagi e buoni sullo sfondo di un paesaggio spettrale descritto con vigore narrativo e con accuratezza stilistica: «A ogni passo, botteghe chiuse; le fabbriche in gran parte deserte; le strade, un indicibile spettacolo, un corso incessante di miserie, un soggiorno perpetuo di patimenti…».

La peste più evocata per lo spavento, che ha impresso nell’immaginazione individuale e collettiva e per le conseguenze demografiche, politiche, culturali ed economiche, è senz’altro La Spagnola (1918) che fece 50 milioni di morti, il 10% della popolazione di quel momento storico.                                                                                                                                          In tempi più recenti molto nota è l’epidemia di peste inesorabile e tremenda, scoppiata a Orano in Algeria, raccontata da Albert Camus, nel libro, La peste, pubblicato per la prima volta nel 1947. Lo scrittore francese descrive, in maniera mirabile dal punto di vista stilistico, parallelamente la parabola dell’epidemia, il comportamento degli abitanti e la lotta organizzata da alcuni di essi contro il flagello.

La pandemia dei nostri giorni, scoppiata in un mondo globalizzato non ha precedenti per l’enorme rapidità del contagio, dovuta non solo all’aggressività del virus, ma alla veloce circolazione planetaria. Il virus Covid-19 ha colpito molto meno persone rispetto al passato grazie ai progressi della scienza medica, alle terapie disponibili, ai presidi terapeutici (mascherine, respiratori…) tuttavia rimarrà ugualmente impressa, nella mente e nei cuori di tutti quanti noi, anche se ancora non è si è trovato qualcuno che ricorderà ai posteri l’emergenza pandemica della nostra «contrada storica».

Pertanto rileggere i classici, come ha scritto Italo Calvino, è sempre utile e può aiutarci anche a riflettere e a risolvere i grandi problemi che oggi dobbiamo affrontare, anche dopo che la fase più acuta di questa pandemia per noi sembra essere alle spalle.

 

 

 


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