Coronavirus: da quando abbiamo preso confidenza con questa nuova parola siamo in tanti del mondo scientifico, politico e dell’informazione, a seguire i grafici che il biologo Enrico Bucci, professore aggiunto alla Temple University di Philadelphia e il fisico Enzo Marinari, professore alla Sapienza di Roma, quotidianamente preparano sull’andamento di questa malattia.                                                                               I due scienziati firmano, con la supervisione del fisico Giorgio Parisi, presidente dell’Accademia dei Lincei, un’analisi sulla situazione italiana, che poi pubblicano sul blog ‘Cattiviscienziati.com’ e su Scienza in Rete.   Tra l’altro il professor Bucci è sempre molto in contatto con il professor Roberto Burioni, noto ormai alle cronache per il suo inascoltato tempismo.                                                                                                                Io li seguo da tempo, ma per sapere di più su questa malattia, ho rivolto qualche domanda al professor Bucci

 

Professore, da giorni andate ripetendo che non è questo il momento di abbassare la guardia e di sospendere le misure di mitigazione, che anzi andrebbero allargate il più possibile. Io però non mi spiego come mai nelle zone libere dove cominciano ad uscire dei casi, si continui a fare la vita di sempre, con gli anziani che vanno nei bar o nei Centri anziani a giocare a carte, rimanendoci anche lunghi periodi; con i dilettanti sportivi che frequentano palestre e campetti da calcio, usando le stesse docce e gli stessi spogliatoi; con i cinema che funzionano regolarmente. E così le scuole di ballo, di musica, di canto, etc. E’ normale tutto ciò secondo lei? Chi dovrebbe decidere se tenere aperti o chiusi tutti questi centri di aggregazione sociale?

Vorrei innanzitutto cercare di distinguere tra le misure restrittive che possono essere imposte ed il buon senso e la responsabilità dei cittadini. Le misure restrittive (come la chiusura delle scuole) possono e debbono essere pianificate e coordinate a livello nazionale, come finalmente si sta facendo. Tuttavia, tali misure, per loro natura, non possono scendere fino a quelle norme di buon senso che dovrebbero invece essere instillate da una comunicazione efficace. Qui gli enti locali possono fare la differenza: educare le persone a comprendere e gestire il rischio, responsabilizzandole circa il fatto che, per esempio, organizzando una festa affollata possono non solo esse stesse assumere il virus (una possibilità remota in un luogo ancora poco toccato dal virus), ma soprattutto far rischiare i propri amici e parenti (per la legge dei grandi numeri) dovrebbe essere prioritario. Naturalmente, è necessario spiegare al cittadino in concreto cosa deve evitare, senza eccedere e soprattutto senza cambiar versione da un giorno all’altro, come purtroppo si vede in questi giorni di informazione disordinata accadere.

 

In Italia l’epidemia di Covid-19 è ancora in fase iniziale, con un andamento esponenziale: c’è un raddoppio dei casi ogni 2 giorni e mezzo e lo scenario, tra infettati, ricoveri e casi clinici gravi è simile a quello della Corea del Sud“. E’ questo quanto da voi dichiarato qualche giorno fa. Questi dati non sono affatto confortanti. Cosa ci dobbiamo aspettare nei prossimi giorni?

Per la verità, io sono piuttosto colpito dal fatto che un fenomeno che si studia a scuola – l’iniziale crescita esponenziale di un processo epidemico – desti così tanto scalpore e sia considerato come un’eventualità diversa da quanto ci si attende in casi come quello del coronavirus. Conosciamo da oltre un secolo l’andamento quantitativo delle epidemie, e non stiamo osservando nulla di nuovo o imprevisto; quindi, invece di spaventarci per una cosa ovvia ed attesa (che si studia a scuola, come mi confermano alcuni professori di Liceo che stanno usando i dati della protezione civile per spiegare gli esponenziali ai propri studenti), bisognerebbe riconoscere che siamo nella norma e che questo processo continuerà fino ad un punto di flesso in un giorno non troppo lontano da adesso, a guardare quanto successo in Cina. Allo stesso tempo, proprio perché si tratta di fenomeni noti, sappiamo già – almeno dai tempi di Boccaccio – cosa è utile fare, nell’attesa dei risultati di tutte le promettenti sperimentazioni di farmaci e vaccini in corso.

 

Secondo lei sono sufficienti le misure decise ieri dal Governo?

Non sono che alcune delle possibilità previste, perché per esempio non sono stati chiusi uffici pubblici non legati all’educazione. In proposito, riporto un’indicazione tratta dal rapporto di missione dell’OMS in Cina, pubblicato pochi giorni fa:
Conduct multi-sector scenario planning and simulations for the deployment of even more stringent measures to interrupt transmission chains as needed (e.g. the suspension of large-scale gatherings and the closure of schools and workplaces).

Faccio anche presente che è possibile differenziare le misure, a seconda del progresso di un focolaio epidemico in una data regione: sappiamo già, ad esempio, che per l’influenza l’applicazione di misure anche stringenti quando sia trascorso troppo tempo dall’inizio di un’epidemia è pressoché inutile. Nelle regioni dove si accendono nuovi possibili focolai, invece, tali misure trovano la massima utilità (accoppiate ad una limitazione del movimento da regioni con focolai molto attivi verso altre regioni).

 

In questo contesto cominciano a muoversi anche i sociologi che affermano che la repressione forzata della socialità avrà conseguenze dannose. Non si sa che scegliere….

Ricorderei ai sociologi che organizzare dei bei party in ospedale non è possibile.

 

Molti accettando i vostri consigli hanno interrotto autonomamente le loro frequentazioni e le loro attività sociali. Altri invece hanno deciso di affrontare a viso aperto il virus, dicendo: io non ho paura e quindi vado nei musei, nei raduni affollati, a giocare a burraco e via discorrendo. Insomma se non si decide d’autorità, la risposta è debole. Qualcuno però ha avuto coraggio. La Federazione nazionale di Bridge ieri ha sospeso tutti i tornei nazionali e territoriali. La domanda quindi è: la paura è visibile o invisibile? E come la si combatte…. dimostrando di essere più sfrontati degli altri o accettandola?

Non è importante se la paura sia visibile o invisibile: è importante combatterla con misure razionali. Tra cui quelle della FIGB. Chi, per mostrare coraggio, aumenta il rischio proprio e degli altri, mostra in realtà solo l’incapacità di accettare di fondare le proprie scelte su una valutazione razionale del rischio, condizione questa che, purtroppo, è molto comune nel nostro paese grazie all’analfabetismo scientifico diffuso. Del resto, Manzoni ha magistralmente descritto proprio alcuni di questi comportamenti spavaldi e le conseguenze a cui portarono.

 

Se ne parla da anni, ma le resistenze sindacali lo hanno sempre frenato. Parlo del telelavoro e dello smart working, che in questo momento rappresentano la risposta più immediata e più intelligente a questa situazione drammatica. Sarebbe davvero il momento di allargare le due realtà ai vari mondi del lavoro, della scuola e dell’università. Speriamo di farcela. Poi si vedrà.

Sono d’accordo.

 

Aspettando il vaccino, come si cura questo virus?

Oggi esistono solo cure sperimentali, ma alcune sono promettenti. Esistono dati interessanti su una serie di trial clinici in corso in Cina su un composto originariamente usato per la malaria – la clorochina – a causa del fatto che tale composto è in grado di modificare la struttura della “serratura” molecolare che permette alla proteina “chiave” del virus di entrare nelle cellule umane. I primi dati su 100 pazienti in Cina sono stati descritti come molto promettenti. Un secondo composto, originariamente sviluppato per Ebola, chiamato Remdesivir, è un antivirale cui è stata attribuita la guarigione del primo paziente americano (che però era un 37 enne). Questo composto è oggi usato in molti casi; anche a Genova è arrivato, ed anche allo Spallanzani pare sia stato usato. I trial clinici, anche per esso, sono in corso e sembrano promettenti. Anche per questo farmaco, esistevano indicazioni pregresse che potesse essere utile, perché funzionava contro altri coronavirus umani. Oltre a questi due composti, sono promettenti farmaci usati contro HIV; vi è poi un intero armamentario di altri composti in prova, così che con i possibili vaccini ho potuto contare un totale di almeno 35 diverse strategie in sperimentazione.

 

Perchè si muore professore?

Si muore del virus come si muore di ogni altro patogeno, prima che esistessero farmaci e vaccini: lo stato naturale delle cose prevede che i patogeni possano agevolmente sopravvivere alla morte di una frazione anche alta della popolazione umana, purché un certo numero di persone sopravviva un tempo sufficiente per riprodursi prima di morire.


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Mariassunta D'Alessio
Giornalista, scrittrice e blogger, con parecchi anni di giornalismo alle spalle. Ho iniziato a Latina Oggi, giornale appena nato e poi al Messaggero. Quindi a Roma per più di 20 anni, negli uffici stampa dei Ministri dell'Economia e Finanze e dell'Istruzione, Università e Ricerca. Qui ho diretto la redazione scientifica di Researchitaly, portale della Ricerca Internazionale. Un'esperienza unica quella di Roma, che mi ha portato a vincere importanti premi di giornalismo, come cronista, come miglior addetto stampa nella Pubblica Amministrazione e come scrittrice. L' ultimo è il premio Camilla. Mi occupo di Pari opportunità praticamente da sempre. Ho scritto libri e realizzato interviste a donne e uomini importanti. Fiera di averne fatte tre alla professoressa Rita Levi Montalcini ( compresa l'ultima concessami prima di morire), e poi a Margherita Hack, Umberto Veronesi e tanti altri, scienziati, politici, ministri, etc. Ora eccomi qui, a occuparmi di nuovo della mia città.