DIEGO VELAZQUEZ “IL RITRATTISTA”

Diego Velazquez (Siviglia 1599 – Madrid 1660) fu un pittore spagnolo, inizialmente allievo di F. Herrera il Vecchio; nel 1610 passò nella bottega di F. Pacheco rimanendovi fino al 1617 quando iniziò l’attività indipendente.

Sin dalle sue prime opere è evidente il suo orientamento verso una rappresentazione schiettamente naturalistica con predilezione per scene di vita popolare (“Vecchia friggitrice”, “Acquaiolo di Siviglia”, “Madre Jeronima de la Fuente”, “San Giovanni Evangelista Apatmos” e “Adorazione de Magi”).

Nel 1622 andò a Madrid sperando di ritrarre il sovrano. In un secondo viaggio a Madrid, nel 1623, grazie all’appoggio del potentissimo conte De Olivares ottenne la nomina a pittore reale. Iniziò così la rapida ascesa di Velazquez che stabilitosi a Madrid, raggiunse in pochi anni una posizione di supremazia sugli altri pittori più anziani, trasformando anche il gusto artistico della corte spagnola. Nei ritratti di Filippo IV, del conte duca De Olivares e di altri personaggi di corte egli attenua l’intonazione aulica e monumentale e l’irruenza realistica delle opere giovanili.

Nel 1629 Velazquez compie un soggiorno in Italia tra Genova, Milano, Venezia, Parma, Bologna, Roma e Napoli. Durante il soggiorno romano dipinse i tre paesaggi di Villa Medici: “Il padiglione di Arianna”, “L’ingresso alla grotta” e “La fucina di Vulcano” che sono le opere più decisamente italianizzanti eseguite fino a quel momento dall’artista, e sono preludio alla grande libertà cromatica delle tele del Prado (“El nino de Vallecas”, “Juan Calabazas”, “El primo”, “Sebastian de Morra”).

Nel febbraio del 1649 l’artista si imbarcò per un secondo viaggio in Italia con l’incarico ufficiale di acquistare opere d’arte per la corte. Soggiornò a lungo a Venezia e a Roma dove dipinse alcune delle sue opere più affascinanti nelle quali il rinnovato incontro con la pittura veneta del ‘500 si risolve in superbe invenzioni cromatiche e una sorprendente audacia e libertà di esecuzione (“Venere allo specchio”, i ritratti de Juan de Pareja e del pontefice Innocenzo III).

Sulla stessa linea di svolgimento si collocano i dipinti degli ultimi anni dopo il ritorno di Velazquez a Madrid (i ritratti dell’infanta Maria Teresa, dell’infanta Margherita e del Principe Felipe Prospero e le due vaste tele del Prado che sono considerate il culmine dell’arte dell’artista: “Las meninas” e “Le filatrici dell’arazzeria di Sant’Isabella”). In questi ritratti di gruppo e di un interno, apparentemente di un’assoluta semplicità e immediatezza, la rappresentazione si trasforma attraverso una rete di sottili illusioni e ambiguità in un raffinato gioco intellettuale e in una meditazione sul meraviglioso potere dell’arte di ricreare realtà e illusione. Il grande apprezzamento dell’opera di Velazquez è quasi sempre stato fondato sulle qualità cromatiche e di stesura pittorica, apparse, a partire dalla fine del secolo scorso, come folgoranti anticipazione della moderna semplicità.

Più ardua appare la definizione dei caratteri particolari del suo realismo, lontano nelle opere mature da ogni eccesso e compiacimento, così come dal pittoresco e dalla piacevolezza della pittura di genere, interpretata di volta in volta in chiave di malinconia o di impassibilità di fronte al gran teatro del mondo; una impassibilità che non nasce dall’indifferenza ma da una superiore capacità di comprensione degli aspetti più contrastanti della realtà.

Guglielmo Guidi
Ricercatore e storico d’arte.


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