LATINA – Giustizia. Perdono. Vendetta. Concetti che sembrano abbracciare una stessa filosofia e invece appartengono a tre romanzi diversi, ambientati in tre dimensioni differenti, ma il filo che li lega non è quel rosso o quel nero che sembra strizzare l’occhio al genere che l’autore predilige. L’autore in questione è Gian Luca Campagna, giornalista (“una volta, una volta ero un giornalista”, sorride deridendosi), comunicatore d’impresa e oggi scrittore, giunto al quarto romanzo. In uscita ecco il romanzo ‘L’estate del mirto selvatico’ (Fratelli Frilli Editori), a metà strada tra il noir mediterraneo, il thriller e una storia arcobaleno, “dove s’abbracciano tutti i colori della vita. Dato che organizzo da tredici anni il festival del giallo e del noir giallolatino i lettori credono che io sia un appassionato solo di quel genere. Errore, anche perché sono un lettore decisamente onnivoro” confida. E non è un caso che allora forse Campagna, come dice lui, ha chiuso una trilogia, cominciata con ‘Finis terrae’ nel 2016, proseguita con l’argentino ‘Il profumo dell’ultimo tango’ e chiuso con quest’ultimo ‘L’estate del mirto selvatico’, ambientato proprio al Circeo. “Ecco, è stato istintivo tornare dopo il romanzo ‘Finis terrae’ a tuffarsi in un territorio coperto da una macchia mediterranea selvaggia, dalle acque salmastre dei laghi costieri, da dune sabbiose come borotalco, da un mare con le acque trasparenti – racconta Campagna-. Stavolta, niente fraintendimenti, non c’è l’immaginaria Villareale, c’è il Circeo in tutta la sua incantevole magia, ma come ogni paradiso che si rispetti c’è il serpente. E la sua Eva”. Quattro romanzi dal 2014 a oggi e tutti differenti. “Mi chiedono perché scrivo cose diverse. Semplice: non amo scrivere sempre le stesse cose. E così anche il lettore deve sentirsi in discussione, varcare nuovi confini e aprirsi a nuovi viaggi, non amo molto i personaggi seriali, sembra che non spingano autore e, soprattutto, lettore oltre le colonne d’ercole e non solo della narrativa” ammette. “Ma anch’io ho ceduto e ho un personaggio seriale, è il detective argentino Josè Cavalcanti, seppure le altre storie che ho scritto riposano ancora nel cassetto impolverato di qualche editore scrupoloso e maniaco” dice.
Ma arriviamo al romanzo ‘L’estate del mirto selvatico’, che sarà presentato per la prima volta in una location d’eccezione come la Proprietà Scalfati, sotto il monte Circeo e sulle sponde del lago di Paola, a Sabaudia, domenica 29 settembre alle ore 17. Ecco la trama: Le stagioni della vita ti aggrediscono a tradimento, ti ghermiscono l’anima e cancellano la nostalgia dei ricordi. Federico Canestri, scrittore in crisi con la moglie e in difficoltà creativa, è chiuso in una bolla indolente nel suo appartamento di Roma, finché apprende dal web che in una cavità del monte Circeo è stato ritrovato uno scheletro di un adolescente. Federico forse sa di chi sono quei resti. È lì che affiorano i ricordi su quell’estate che ti cambia, che appartiene a quel periodo dell’adolescenza in cui scopri l’amore, l’invidia, la gelosia, i tradimenti. È l’estate in cui sulle spiagge di Sabaudia la banda dei buoni, guidata da lui, detto Barabba, insieme allo sbruffone Hollywood, al timido Tasso Mannaro, alla bella Camicetta e all’impacciato Dracula, si fronteggia con la banda dei bulli, capeggiata dall’arrogante Hammer, i rissosi Crisantemo, Kamikaze e Moscarda, più le disinibite Mantide e Raffa. Federico deciderà di tornare all’ombra del Circeo per affrontare finalmente il passato, la misteriosa scomparsa di Dracula, il rapporto conflittuale col padre, la vita felice vissuta con Veronica, cercando decisive risposte nel presente. Ma chi erano veramente i suoi amici? E il padre? E lui? Lui è veramente chi crede di essere?
“Questo romanzo chiude il ciclo del perdono, della giustizia e della vendetta- riprende Campagna-. Non me ne ero accorto, poi lo analizzi quello che scrivi e arrivi a qualche conclusione. La vita tra le piccole e le grandi cose danza sempre su questo filo: nel primo, ‘Fins terrae’, il giornalista Angelo Corelli abdica, lascia a Dio quel compito supremo, perché non è il suo ruolo, perché non è il suo mestiere. Lui, da cronista, deve solo scovare la verità, un po’ per lui (e per la sua coscienza), un po’ per i lettori. Ne ‘Il profumo dell’ultimo tango’ Josè Cavalcanti si lascia travolgere dalla Storia, lui è un detective, un po’ epicureo, rissoso, volgare, anarchico, ma lui è consapevole che la vendetta non è partigiana, capisce che è un rito collettivo perché risiede nella grande tragedia che ha colpito l’America Latina durante il periodo del Piano Condor. E anche lui come Corelli rifiuta vigliaccamente una soluzione diretta. Ed ecco il paradosso, il protagonista di questo romanzo è un mite scrittore di romanzi, Federico Canestri, anche lui si trova catapultato in un fatto privato, ma comprende che la volontà divina che si muove tra vendetta, perdono e giustizia è cavillosa, porosa, non ha un percorso lineare, è difettosa quanto quella degli uomini, quindi batte quei sentieri violentando se stesso. Quando si ricerca la verità si violenta se stessi, si compie la più grande ricerca umana, perché indaghi, interroghi, incroci dati e parole, la verità poi non veste mai di bianco, ha abiti che si sporcano con facilità. Lui vorrebbe capire perché un suo amico tanti anni fa è scomparso in circostanze ancora mai chiarite sul monte Circeo, capire chi erano i suoi amici, capire quale maschera indossa la moglie, comprendere il rapporto che viveva col padre, infine capire anche chi è lui”.
La ricerca ontologica resta uno dei pallini di Campagna, messa a disposizione dai suoi protagonisti per scovarla nei microcosmi della storia o nei grandi temi della Storia. certo, la lotta è sempre quella eterna, tra Bene e Male, non ci sono pause e sconti, “non esiste sentimento a contenere l’ira, lo sdegno, la rivalsa, è proprio qui che l’uomo prende la scorciatoia e diventa simile all’animale, dove prevale la ragione dell’istinto”.
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