Se irrighi regolarmente un albero di arance lo preservi dalla morte, ecco la mia irrogazione vitale è la memoria.
Andrea Camilleri
Narrare il proprio vissuto, attribuendo ad esso un valore simbolico o esemplare, o anche una manifestazione di una semplice aspirazione a lasciare ai figli, ai nipoti e ai posteri una traccia di sé, è stata sempre una esigenza espressiva e comunicativa dell’uomo fin dai tempi più antichi. Le parole scritte, come asseriva lo scrittore francese Victor Hugo, sono creature viventi che possono continuare a vivere a lungo perché non muoiono quando sono fissate nella memoria individuale e collettiva.
L’autobiografia, come forma primaria di narrazione, come forma letteraria e strumento di conoscenza della realtà, è stata collegata da alcuni studiosi di psicologia e di psicanalisi ad istanze emotive e sentimentali legate alle strutture profonde dell’inconscio umano, al desiderio di sopravvivenza e di conservare un rapporto con gli altri, con le persone più care che ci circondano. La narrazione della propria vita, come genere di scrittura, oltre al valore psicologico, ha una sua intrinseca importanza come storia interiore, come ricostruzione di eventi significativi della propria vita, come testimonianza vissuta in un particolare ambiente culturale, sociale, professionale, politico di una determinata epoca storica.
Anche l’amico Pietro Capuzzimati, con il suo racconto autobiografico I viaggi della rondine, ha voluto e saputo, come testimone del proprio tempo, narrare con leggerezza letteraria e con pungente ironia verso se stesso e verso gli altri le varie vicende personali della sua storia: un mondo vario di eventi, denso di umanità. Come autore, alla ricerca di un’identità personale (Chi sono? E come sono diventato me stesso?), Pietro con questo libro di memorie ha raccolto una miriade di fatti, di azioni, di racconti, di aneddoti curiosi, di riflessioni che toccano i più molteplici aspetti della sua vita familiare, sociale e culturale vissuta dapprima nel natio borgo di Faggiano (per molti autori, così anche per Pietro, i luoghi d’origine sono fonte di ispirazione, oltreché la terra dei principali ricordi e affetti) e poi nel capoluogo piemontese, la Torino degli anni del secondo dopoguerra, della massiccia migrazione delle popolazioni povere del sud nelle regioni ricche e sviluppate del nord, nelle città del triangolo industriale: Milano, Torino e Genova.
Pietro, nel ricapitolare la sua esistenza in un testo apertamente autobiografico, manifesta una spiccata capacità nella rielaborazione del suo percorso di vita, molto peculiare. Con sincerità e autenticità ha raccontato gli anni della sua infanzia e adolescenza trascorse tra le cure e gli affetti familiari in terra pugliese, le amicizie, gli studi liceali a Taranto e poi il trasferimento, insieme al fratello, a Torino in cerca di fortuna e con l’intenzione di proseguire in maniera regolare gli studi universitari.
In questo libro, I viaggi della rondine, di grande coraggio e sincerità, Pietro, con un atto di amore e di riconoscenza, ha raccontato le vicende della sua famiglia e soprattutto lo straordinario rapporto affettivo che egli ha avuto con i genitori, con il fratello e le sorelle. In alcune pagine Pietro offre una serie di fotografie istantanee, ora comiche ora struggenti, profondamente radicate nelle storie di emigrazione anche della sua famiglia e dei suoi conterranei. Pietro, cantore dotato di potenza narrativa, di straordinaria capacità affabulatoria, sagace interprete della realtà paesana di Faggiano è infatti un testimone lucido e coraggioso della sua terra.
I tre principali ambienti, in cui il memoir si svolge, sono: Faggiano, che rappresenta il passato, non solo il luogo di nascita ma le radici esistenziali, culturali dell’autore; Firenze, città dove adempie, insieme ad amici veri, sinceri e autentici, all’obbligo del servizio militare; e infine Torino la città adottiva dove si laurea, incomincia a lavorare e si costruisce una famiglia, a cui è profondamente legato.
Il libro intenso di memorie di Pietro Capuzzimati, nell’infinita matassa di storie semplici, raccontate dettagliatamente, e di vividi ritratti di personaggi, descritti con umana empatia, scava fra i ricordi personali e familiari del suo paese d’origine e della sua città d’adozione. Come autore ripercorre e fa rivivere il suo ricco e articolato percorso di esperienze di vita, tentando di dargli un’unità e un senso. Nel ricostruire gli avvenimenti principali della sua biografia, nel raccontare le vari fasi della sua esistenza, Pietro ritorna sul suo passato, che ha lasciato tracce indelebili, per interpretarlo e per capire in che modo ha condizionato la sua personalità. Sembra di proporre a se stesso, ai familiari e ai coetanei, attraverso il bagaglio dei ricordi che riaffiorano nella sua viva memoria, un bilancio, un resoconto della sua esistenza.
Nel ricercare, attraverso la memoria, la verità del suo passato e nel ricostruire ciò che è stato per ritrovare un senso di appartenenza, Pietro finisce per rivelare la verità dell’essere chi è; utilizzando la tecnica del flusso di coscienza, esprime i suoi pensieri e comunica con straordinaria forza evocativa le sue emozioni e i suoi sentimenti intimi, mescola memorie personali con riflessioni letterarie e filosofiche. Nel cuore del racconto traspare una forte nostalgia del passato, intesa come percezione esistenziale, per le persone amate, per la casa, per il palazzo Vaccariello e per il piccolo paese che è stato costretto a lasciare, per i luoghi in cui ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza, per i paesaggi vissuti, per gli incontri e le esperienze avute e per le emozioni registrate nei diversi momenti della quotidianità.
Lo stile essenziale e veritiero della scrittura autobiografica di Pietro Capuzzimati è caratterizzato dall’utilizzo del dialetto nelle forme lessicali, semantiche e sintattiche che manifestano un modo di pensare il mondo, una visione delle cose, nonché un modo di tratteggiare personaggi irresistibili, che portano a scoprire le mille facce della realtà paesana, e i luoghi e di articolare ed esprimere punti di vista diversi.
L’uso continuo di parole, di modi di dire, di costrutti e di frasi scritte in dialetto, sta a significare da una parte l’attaccamento alla sua terra, alle proprie radici, dall’altra il rispetto e l’affetto che Pietro nutre verso i suoi concittadini, narrando gli usi, costumi e tradizioni della sua gente. Ogni parola, ricordata e trascritta in dialetto, è una testimonianza di un’epoca, di un modo di fare le cose, di un’idea, di un sentimento vissuto, di una cultura di un tempo ormai passato, non certamente privo di bellezza e di energia.
La brillante e trascinante prosa di Pietro è essenziale, diretta attraverso l’arte della semplicità e dell’immediatezza. Un vero godimento si prova a leggere queste pagine capaci di raccontare con rara leggerezza, ironia e matura acutezza la grande avventura di una vita.
I viaggi della rondine di Pietro Capuzzimati è un magnifico e personalissimo memoir che palpita di vita vera con pagine uniche per il modo con cui riescono a fondere testimonianze e storia, cultura e poesia alla ricerca di un senso di appartenenza.
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