“Il mito della colpa di Airbnb”

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perché la ricerca di IRPET è fuorviante e ignora le vere cause della crisi abitativa.

Uno studio recente condotto dall’IRPET ha messo sotto accusa Airbnb e gli affitti brevi turistici come i principali responsabili dell’aumento dei prezzi delle abitazioni in Italia, concludendo che la loro diffusione influisce negativamente sul mercato immobiliare. Tuttavia, questa analisi non solo è fuorviante, ma rischia di alimentare una narrazione sbagliata, ignorando le vere cause del problema abitativo e distorcendo la percezione del ruolo positivo che il turismo e le piattaforme di sharing economy possono avere sul tessuto urbano e commerciale.

Un confronto inadeguato: capitali europee vs. capitali africane

Partiamo dal primo punto critico di questa ricerca: il paragone implicito tra l’Italia e alcune capitali europee come Barcellona o Firenze, che si avvicinano al modello delle metropoli globali, con una maturità turistica ben diversa da quella di molte città italiane. È come confrontare lo sviluppo di una capitale europea con quello di una capitale africana: le variabili economiche, demografiche, e sociali sono troppo diverse per trarre conclusioni applicabili universalmente.

Barcellona, ad esempio, è un epicentro turistico con flussi di visitatori internazionali che superano di gran lunga la popolazione residente, un fenomeno che può effettivamente esercitare pressioni immobiliari. Ma applicare lo stesso modello di analisi a città italiane come Pisa, Siena o perfino Firenze, significa ignorare il contesto locale. Il tessuto economico e sociale italiano ha dinamiche uniche, spesso caratterizzate da una gestione immobiliare frammentata, una burocrazia immobiliare soffocante e un mercato del lavoro stagnante, problemi che hanno poco a che vedere con Airbnb.

La vera paura dei proprietari: affittare a lungo termine

Un altro aspetto che lo studio ignora completamente è la reale paura dei proprietari di casa di affittare a lungo termine a residenti o studenti. In Italia, il sistema legislativo e giudiziario rende estremamente rischioso affittare a lungo termine: sfratti bloccati per mesi, se non anni, in caso di morosità, e una burocrazia complessa che lascia il proprietario spesso senza alcuna tutela. È naturale che molti proprietari preferiscano rivolgersi agli affitti brevi, dove il rischio è ridotto e la flessibilità maggiore.

Airbnb, in questo contesto, non è il “cattivo” della situazione, ma piuttosto una soluzione che offre ai proprietari una via d’uscita da un sistema immobiliare inefficiente. Invece di incolpare Airbnb, sarebbe più utile riformare le leggi sull’affitto a lungo termine per tutelare sia i proprietari che gli inquilini, creando un mercato più equo e stabile.

La bufala dello svuotamento dei quartieri

Un’altra critica comune agli affitti brevi è l’idea che svuotino i quartieri, trasformandoli in “parchi a tema” per turisti. Questo argomento, però, non regge alla prova dei fatti. Piuttosto che svuotare i quartieri, i turisti li riempiono di vitalità, portando sicurezza, movimento e opportunità economiche. Dove c’è turismo, c’è vita.

Pensiamo a un quartiere che si dice “svuotato” dai residenti a causa di Airbnb. La realtà è che molte di queste aree, senza il turismo, sarebbero probabilmente cadute in uno stato di abbandono. I turisti non solo consumano, ma interagiscono con il territorio, stimolando attività commerciali e nuove idee imprenditoriali. Chi ha davvero “ucciso” i quartieri sono stati decenni di politiche miopi, che non hanno saputo adattarsi ai cambiamenti globali e locali.

Il turismo: motore della rinascita urbana

Lungi dall’essere un nemico, il turismo è uno dei principali motori di rinascita urbana. Le piccole attività commerciali locali, dai bar ai negozi di artigianato, trovano nei turisti un mercato dinamico e appassionato, che non solo consuma, ma valorizza la cultura e le tradizioni locali.

In molti quartieri italiani, i turisti hanno contribuito a ridurre il degrado urbano, portando sicurezza grazie alla loro presenza costante e stimolando la riqualificazione di edifici altrimenti destinati al declino. È una narrativa ben diversa da quella di quartieri svuotati e “morti”.

Un esempio emblematico è quello delle città d’arte italiane, dove il turismo ha permesso a molti quartieri di reinventarsi. Lontano dall’essere un problema, Airbnb e altre piattaforme hanno reso possibile un utilizzo intelligente degli spazi, adattando l’offerta alle nuove esigenze della domanda globale.

Una regolamentazione miope

Lo studio conclude con un richiamo a una maggiore regolamentazione degli affitti brevi, citando esempi come Barcellona e Firenze. Ma regolamentare non significa penalizzare. Spesso, le proposte di regolamentazione sfociano in interventi restrittivi che soffocano il mercato, allontanano gli investitori e deprimono l’economia locale.

Se davvero vogliamo affrontare il problema, dobbiamo partire dalle radici: la carenza di alloggi pubblici, l’inefficienza della burocrazia immobiliare e l’assenza di politiche a lungo termine per garantire una convivenza armoniosa tra residenti e turisti. Invece di demonizzare Airbnb, dovremmo guardare a questa piattaforma come a un’opportunità da regolare con intelligenza, non da soffocare con norme punitive.

Airbnb non è il problema, ma una soluzione

Alla fine della giornata, incolpare Airbnb per l’aumento dei prezzi immobiliari è come accusare il termometro di provocare la febbre. Il vero problema non è la piattaforma, ma un sistema immobiliare italiano obsoleto, rigido e incapace di adattarsi ai cambiamenti del mondo moderno.

Le piattaforme di affitti brevi, se gestite in modo responsabile, possono essere un’opportunità per creare un mercato immobiliare più flessibile e dinamico, che offra vantaggi sia ai residenti che ai turisti. La strada non è quella di demonizzarle, ma di integrarle nel tessuto urbano, trovando un equilibrio che favorisca tutti.

Conclusione: una narrazione da riscrivere

Lo studio IRPET presenta una visione parziale e distorta del fenomeno Airbnb, ignorando il contesto più ampio e le vere cause dei problemi abitativi in Italia. È tempo di smettere di cercare capri espiatori e di iniziare a lavorare su soluzioni reali, che affrontino le cause profonde della crisi immobiliare e sfruttino le opportunità offerte dal turismo e dalla sharing economy.

Smettiamo di demonizzare Airbnb. È ora di accettare che il problema non è il turista che soggiorna in un appartamento, ma un sistema che penalizza sia i residenti che i proprietari di case. Se vogliamo davvero migliorare la vita nei nostri quartieri, dobbiamo concentrarci su soluzioni che promuovano la collaborazione, la sicurezza e la crescita economica, senza cadere nella tentazione facile della colpevolizzazione.


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