La Convenzione di Istanbul, adottata nel 2011 e ratificata da numerosi Stati membri del Consiglio d’Europa, rappresenta un pilastro fondamentale nella lotta contro la violenza di genere e la violenza domestica. Essa stabilisce standard legali e politici per prevenire la violenza, proteggere le vittime e punire i colpevoli, sottolineando il legame tra violenza di genere e violazione dei diritti umani.
Nonostante il quadro giuridico e le iniziative messe in campo, come evidenziato dal Presidente Sergio Mattarella, il problema rimane un’emergenza sociale. I suoi commenti richiamano l’attenzione sull’insufficienza delle misure finora adottate per proteggere le donne, soprattutto quelle più vulnerabili. Mattarella ci invita a riflettere sul dramma di donne che vedono violati i propri diritti fondamentali: il diritto alla libertà, alla sicurezza e a una vita dignitosa.
Le sue parole mettono in luce che il fenomeno della violenza di genere non è solo un problema individuale, ma una questione sistemica che richiede un impegno culturale, educativo e istituzionale. Il riferimento a “madri, sorelle, figlie” umanizza la questione, ricordandoci che dietro le statistiche ci sono vite spezzate e sogni infranti. L’appello di Mattarella sottolinea l’urgenza di un approccio globale e integrato per affrontare questa piaga sociale e garantire alle donne l’indipendenza e il diritto di scegliere liberamente il proprio destino.
È quindi necessario intensificare gli sforzi di prevenzione, sensibilizzazione e tutela, nonché garantire l’effettiva applicazione delle norme già esistenti, affinché la Convenzione di Istanbul diventi una realtà vissuta e non solo un impegno formale.
Questo discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sottolinea con forza l’urgenza di affrontare il fenomeno della violenza di genere e della violenza domestica, inserendolo nel contesto più ampio dei diritti umani e dell’uguaglianza di genere. Alcuni punti salienti emergono:
Radici profonde della violenza: Mattarella mette in luce come la violenza contro le donne sia un comportamento sistemico, alimentato da disuguaglianze di genere, stereotipi e culture che tollerano o minimizzano gli abusi. Questo riconoscimento è essenziale per comprendere che il problema non è solo individuale, ma sociale e culturale.
Importanza della Convenzione di Istanbul: Richiamare questo trattato sottolinea la necessità di un approccio giuridicamente vincolante per proteggere i diritti delle donne. La Convenzione riconosce la violenza di genere come una violazione dei diritti umani e un’espressione di discriminazione strutturale.
Insufficienza delle azioni attuali: Nonostante gli sforzi già compiuti, il Presidente ribadisce che le misure adottate non sono ancora sufficienti. Le donne, incluse le più giovani, continuano a subire violazioni dei loro diritti fondamentali, e questo evidenzia l’urgenza di un cambio di passo.
Appello a “azioni concrete”: Mattarella sollecita un impegno più deciso per eradicare pregiudizi e atteggiamenti discriminatori, sottolineando il ruolo centrale delle istituzioni e della società civile nel sostenere le donne, proteggendole e offrendo loro strumenti per denunciare soprusi.
Impatto sociale del rispetto dei diritti femminili: Garantire i diritti delle donne non è solo una questione di giustizia, ma rappresenta un valore per tutta la società. La piena partecipazione e indipendenza delle donne contribuiscono a costruire una comunità più giusta e prospera.
Le parole di Mattarella invitano a riflettere sull’importanza di un cambiamento culturale e strutturale, dove la lotta alla violenza contro le donne diventi una priorità condivisa da tutti i livelli della società.
La Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che si celebra oggi, 25 novembre, rappresenta un momento cruciale per riflettere su un problema drammaticamente attuale e diffuso. Nonostante decenni di sensibilizzazione e interventi legislativi, la violenza di genere rimane una piaga globale. I dati che hai citato sono sconvolgenti: 85mila femminicidi nel 2023, una cifra che evidenzia quanto ancora ci sia da fare per tutelare le donne e prevenire simili atrocità.
Il fatto che circa il 60% degli aggressori siano persone vicine alle vittime, come familiari o partner, sottolinea la complessità del problema: non si tratta solo di crimini isolati, ma di una dinamica che si radica in relazioni intime e in squilibri di potere. Questo rende ancora più difficile per molte donne denunciare e uscire da situazioni di abuso.
In Italia, come altrove, questa giornata serve non solo per ricordare le vittime ma anche per promuovere campagne di sensibilizzazione, rafforzare i servizi di supporto e sottolineare l’importanza di un’educazione che sfidi stereotipi e modelli di comportamento tossici. Solo attraverso un impegno collettivo e coordinato sarà possibile cambiare questa tragica realtà.
Il 25 novembre 1960, l’omicidio delle sorelle Mirabal rappresentò un momento cruciale nella storia della lotta contro l’oppressione e la violenza di genere. Patria, Minerva e María Teresa Mirabal, simboli di coraggio e resistenza, furono uccise per il loro impegno contro il dittatore Rafael Leónidas Trujillo, che governava la Repubblica Dominicana con pugno di ferro.
“Las Mariposas”, il nome in codice che avevano scelto nella resistenza, incarnava il loro spirito libero e determinato. Attiviste politiche e parte del Movimento 14 de Junio, le sorelle lavoravano per opporsi alla tirannia, sfidando un regime che vedeva la partecipazione attiva delle donne come una minaccia. Il loro brutale assassinio, orchestrato per sembrare un incidente, rivelò la ferocia con cui Trujillo eliminava gli oppositori.
La reazione pubblica all’evento fu di sdegno e dolore, trasformando le Mirabal in martiri della libertà. La loro morte divenne un simbolo di lotta contro ogni forma di violenza, specialmente quella di genere. Questo tragico episodio gettò le basi per una maggiore consapevolezza globale e ispirò la proclamazione del 25 novembre come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dalle Nazioni Unite nel 1999.
Adela “Dedé” Mirabal, l’unica sorella sopravvissuta, dedicò la sua vita a preservare la memoria delle “farfalle” e a raccontare al mondo la loro storia, affinché il loro sacrificio non fosse vano. Oggi, le sorelle Mirabal sono ricordate come eroine non solo nella Repubblica Dominicana, ma in tutto il mondo, simboli di forza, resilienza e giustizia.
La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita il 25 novembre 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, rappresenta un’importante occasione per sensibilizzare la comunità internazionale su un tema tanto urgente quanto complesso. Il riferimento alle sorelle Mirabal, simboli di resistenza contro il regime dittatoriale di Rafael Trujillo nella Repubblica Dominicana e vittime di brutali violenze, evidenzia il legame tra la violenza di genere e le dinamiche di potere oppressive.
La definizione adottata dalle Nazioni Unite pone in rilievo la natura multiforme della violenza contro le donne, che si manifesta attraverso abusi fisici, sessuali e psicologici, minacce, coercizione e privazioni della libertà. Questo tipo di violenza non riguarda solo la sfera privata ma si estende anche alla vita pubblica, toccando ogni aspetto della società.
L’obiettivo di questa giornata è sfidare le norme culturali che perpetuano la discriminazione e creare consapevolezza per promuovere politiche, leggi e pratiche che proteggano i diritti delle donne e delle ragazze. È un richiamo all’azione collettiva, al supporto delle vittime e alla lotta per un futuro libero da ogni forma di violenza di genere.
Il simbolo delle scarpe rosse è diventato un’icona potente per sensibilizzare sull’importante tema della violenza contro le donne. L’installazione di Elina Chauvet, intitolata Zapatos Rojos, ha avuto origine nel 2009 a Ciudad Juárez, una città tristemente nota per l’alto numero di femminicidi. Le 33 paia di scarpe rosse rappresentavano non solo la sorella dell’artista ma anche le innumerevoli vittime di violenza di genere.
Il colore rosso simboleggia il sangue versato e, al tempo stesso, richiama l’attenzione in modo visivamente forte e immediato. Le scarpe, vuote e senza proprietarie, evocano l’assenza di chi ha perso la vita, trasformandosi in un grido silenzioso contro l’indifferenza.
Con il tempo, l’opera è stata riproposta in varie città del mondo, diventando un simbolo universale della lotta contro la violenza sulle donne e un invito alla riflessione collettiva. Anche in Italia, le scarpe rosse sono ormai una presenza ricorrente in manifestazioni e iniziative legate alla Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, celebrata il 25 novembre.
Il movimento Non Una di Meno ha rappresentato, dal 2016, un baluardo importante nella lotta contro la violenza di genere e il patriarcato in Italia, portando avanti battaglie ispirate al corrispettivo argentino Ni Una Menos. Il colore fucsia, simbolo scelto dal collettivo, contrasta con il rosso tradizionalmente associato alla violenza sulle donne, rappresentando invece un’identità chiara e unitaria per le istanze femministe e transfemministe.
Quest’anno, il grido “Disarmiamo il patriarcato” che anima la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne sottolinea un punto cruciale: la necessità di smantellare non solo le manifestazioni evidenti della violenza (fisica e sessuale), ma anche le sue radici culturali, economiche e istituzionali. È un invito ad affrontare la violenza come un fenomeno strutturale, radicato nelle dinamiche di potere e nelle disparità sistemiche che permeano la società.
L’omicidio di Giulia Cecchettin e la determinazione della sorella Elena hanno dato una nuova urgenza a questa battaglia, riportando l’attenzione pubblica sulle responsabilità collettive e sul cambiamento necessario. Le parole della poesia “Se domani tocca a me” di Cristina Torres Cáceres sono diventate un monito doloroso, ma anche un grido di ribellione e speranza. La frase “Voglio essere l’ultima” riecheggia come un richiamo alla solidarietà, alla giustizia e alla fine della violenza di genere.
L’attivismo femminista in Italia continua dunque a trasformare il dolore in resistenza, la memoria in azione, dimostrando che la lotta contro la violenza sulle donne è una lotta per una società più equa per tutte e tutti.
La campagna “Mia fino alla fine” e gli eventi correlati ad Aosta rappresentano un’importante iniziativa per sensibilizzare le persone, soprattutto i giovani, sui temi della violenza di genere e delle dinamiche tossiche all’interno delle relazioni. Con un approccio multidimensionale che coinvolge scuole, enti pubblici, associazioni e il mondo dell’arte, si mira a stimolare una maggiore consapevolezza sui segnali d’allarme e a promuovere il rispetto reciproco.
Eventi principali e messaggi chiave:
Campagna “Mia fino alla fine” nelle scuole:
Coinvolge studenti del Liceo Regina Maria Adelaide con l’uso di video educativi per evidenziare le situazioni di controllo nelle relazioni.
Coordinata dalla consigliera di parità e dalle istituzioni regionali.
Coinvolgimento del tavolo tecnico sulla legalità e della Procura della Repubblica, unendo l’aspetto educativo a quello legale.
Tavola rotonda “Crescendo di voci”:
Evento alle 18 presso il salone della CGIL, organizzato da Arcigay.
Focus sulla violenza contro donne cisgender, transgender e persone LGBTQIA+.
Promuove il dialogo e l’inclusività, riconoscendo le diverse forme di violenza e discriminazione.
Intervento artistico e simbolico:
Proiezione di un video sulla facciata del Museo Archeologico Regionale, con immagini dei volti sfocati di aggressori e un monologo narrativo.
Esposizione delle “red flags” alla ex Cittadella dei Giovani, simbolo delle vittime e dei segnali premonitori spesso ignorati.
Rilevanza dei dati e dei simboli:
La Valle d’Aosta registra 210 codici rossi, dati che sottolineano l’urgenza di affrontare il fenomeno.
Le “red flags” richiamano l’importanza di identificare i segnali di pericolo in una relazione, come il controllo, la gelosia ossessiva e l’isolamento.
Questa iniziativa non solo denuncia, ma educa e sensibilizza, ponendo le basi per un cambiamento culturale che parta dalla comprensione e dal rispetto. Un esempio virtuoso di come istituzioni, associazioni e comunità possano collaborare per affrontare problematiche sociali complesse.
Alessandra Trotta (Giornalista e scrittrice)
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