È morto Satnam Singh, il bracciante indiano vittima di un incidente sul lavoro lunedì in una azienda agricola di Latina, rimasto mutilato per la perdita di un braccio (poggiato su una cassetta di frutta) e abbandonato dal datore di lavoro a casa sua. Nessuno dei «caporali» è intervenuto per soccorrerlo. Nonostante perdesse molto sangue, è stato lasciato solo: esclusivamente la moglie disperata e scossa a vigilare su di lui. Poi portato al San Camillo in eliambulanza, non ce l’ha fatta.
La Regione Lazio ribadisce la ferma condanna per l’accaduto, confermando il suo impegno nella lotta al caporalato e per la sicurezza dei lavoratori di ogni comparto produttivo. Il presidente Francesco Rocca rende noto che l’Amministrazione regionale si farà carico delle spese funebri e, una volta individuati i responsabili, si costituirà parte civile nel processo a loro carico.
A Latina, interviene la Sindaca Matilde Celentano: “Interpretando il sentire comune della nostra comunità, profondamente scossa dall’accaduto, e delle forze politiche tutte, che siedono in Consiglio comunale, preannuncio che domani provvederò attraverso apposita ordinanza ad indire il lutto cittadino, con l’esposizione della bandiera a mezz’asta, per la morte del giovane bracciante”.
Anche da Cori, l’assessore all’agricoltura, Simonetta Imperia, esprime la sua indignazione: “Quello che è accaduto lunedì nelle campagne di Latina non può non accendere l’attenzione da parte di tutte le Istituzioni, delle parti sociali, del Prefetto. Non è bastante indignarsi per la barbarie che è stata compiuta ai danni di un ragazzo che attraverso il lavoro avrebbe voluto migliorare la propria condizione sociale.
Satnam Singh, lavorava sicuramente in nero, e in regime di sfruttamento, quando due giorni fa ha perso un braccio lavorando, non è stato soccorso dal suo datore di lavoro, bensì scaricato come un “sacco di spazzatura” davanti alla propria abitazione, considerato meno di niente, come se la vita di alcune persone non avesse valore, sembra di essere tornati nell’oscurità del basso Medioevo, quando il padrone aveva il potere di decidere della vita dei propri “servi”.
È per questo che non basta indignarsi a corrente alternata e solo quando assistiamo ad avvenimenti così abominevoli che negano la dignità umana, la dignità del lavoro. Faccio appello alle autorità al Prefetto che desti la giusta attenzione al fenomeno del Caporalato nella nostra Provincia. Tanto ha fatto emergere l’inchiesta condotta da Marco Omizzolo insieme alla Flai- Cgil di qualche anno fa, a seguito della quale si costituì un tavolo in Prefettura insieme alle parti sociali e alla Regione Lazio. Fu il periodo in cui il Governo, attraverso il Ministro alle politiche agricole cercò di costituire la rete di qualità delle aziende virtuose.
Ci tengo a precisare che per mia cultura e sensibilità personale e politica che questo tema mi sta particolarmente a cuore, e mi preme quindi trovare soluzioni, misure e proposte che siano di contrasto alle manifestazioni di illegalità sociale, ma nel contempo non siano mere vessazioni per le aziende virtuose. Io credo che non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che il vero terreno di scontro (a parte quello ovvio tra Stato e soggetti che commettono violazioni o reati a qualunque livello) non è solo tra datori di lavoro e lavoratori (lo è nel caso del caporalato) ma tra impresa che rispetta le regole ed impresa che non le rispetta.
In questa lotta, in questa battaglia di contrasto al sommerso occorre avere ben presente che il lavoro irregolare è un fenomeno così complesso, così articolato, magmatico nelle sue varie forme, nelle sue differenti cause che richiede necessariamente una complessità adeguata di approccio. La piaga dello sfruttamento del lavoro nero e del caporalato ha radici antiche che dobbiamo sicuramente strappare. Oggi, però dobbiamo fare i conti con un fenomeno che si lega profondamente al dramma delle migrazioni, allo sfruttamento di persone disperate e in fuga dalla fame e dai conflitti. Serve una rottura netta col passato, anche e soprattutto a livello culturale.
Esiste un muro di gomma che avvolge questo fenomeno, che ne consente la prosecuzione in alcuni territori e non solo nel settore agricolo. Per questo non bisogna abbassare la guardia, minimizzare, la battaglia la si vince se diamo dignità alle persone, al lavoro, ai lavoratori, se questa battaglia la si conduce insieme verso lo stesso obiettivo, la legalità”.
Alessandra Trotta
(Giornalista e scrittrice)
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