A chi stòngo apprésso” In ricordo di Enrico
Questa espressione dialettale è innaturale per te, caro Enrico, che sei nato dopo di me. Purtroppo, ieri pomeriggio, mentre ero nel mio studio ho sentito Marcella che mi ha detto “scendi” perché avrebbe dovuto darmi la triste notizia della tua scomparsa giunta da un laconico messaggio di Gianni. Appena ho avuto questo triste annuncio (26 marzo) un silenzio profondo mi ha assalito e una miriade di ricordi si sono affacciati nella mia mente.
Un altro ramo della mia vita si è staccato. Un altro autentico amico mi ha lasciato. I granelli della clessidra esistenziale hanno definitivamente terminato la loro discesa in basso. Le lancette dell’orologio si sono fermate per sempre. Un vero amico, un carissimo compagno di scuola ha terminato il suo cammino di vita.
Enrico, a partire dal 4 novembre 2004, è stato per me un punto di riferimento importante perché quel giorno mi ha dato l’opportunità di iniziare la mia “faticosa” attività scritturale. Quel giorno ho presentato la recensione al suo libro Matematica in cucina. Fummo entrambi contenti e soddisfatti di questa felice iniziativa. Mi sono sentito, da quel giorno, incoraggiato, protetto nella nuova avventura intellettuale dal forte sapore culturale.
Nel silenzio del dolore per la sua scomparsa, una infinità di ricordi “antichi” e più recenti è balzata nella mia memoria. Un caleidoscopio di eventi, legati alla nostra comune infanzia e adolescenza trascorse a Priverno, si è presentato davanti ai miei occhi ricolmi di sincere lacrime.
Abbiamo vissuto insieme, subito dopo la guerra, gli anni della scuola elementare e media. Nel mio album personale le fotografie, ben conservate, sono testimonianze di questo spensierato periodo durante il quale con modestia e semplicità, «il compagno di scuola» Enrico era considerato unanimemente il “primo” della classe, il più bravo di tutti.
La sua acuta e raffinata intelligenza era apprezzata e ammirata dagli insegnanti e dai suoi compagni, la sua riservatezza e la sua timidezza erano rispettate da tutti. Quante partite di calcio, tra studenti medi e universitari, il mercoledì della settimana “santa” di Pasqua, abbiamo disputato insieme! Quante passeggiate e giocate a carte, quanti balli e primi approcci con le nostre amiche coetanee abbiamo vissuto insieme!
Ricordo che apprezzavi molto l’invito affettuoso che mia madre ti rivolgeva per “gustare” le “callaroste”, unitamente a un buon bicchiere di vino rosso di Velletri in casa mia, offerto da mio padre. Una volta mi confessasti che avevi nostalgia e sentivi ancora, come Proust con la Madeleine della zia Léonie, il profumo delle caldarroste, gustate e apprezzate per il calore proveniente dalla padella bucherellata.
Ricordo con nitidezza che negli sporadici incontri, durante il periodo degli studi universitari, ci scambiavamo informazioni sulle nostre letture, soprattutto sui libri classici. Una volta mi dicesti che avevi letto le Commedie di Edoardo De Filippo che, appena ho potuto comprarle, le ho lette subito grazie al tuo stimolante suggerimento.
Un altro indelebile ricordo è strettamente legato alla festa per la tua laurea, poiché nel preparare fin dalle prime ore del pomeriggio i cocktail, rimediai una “solenne” sbornia, l’unica della mia vita. Fui accompagnato a casa dA alcuni amici presenti e per smaltirla dormii fino al giorno successivo.
Dopo, nello svolgimento delle nostre professioni, durante una passeggiata alle “Callette”, nelle animate conversazioni, tra le varie problematiche politiche, sociali e culturali, affrontammo il tema delle nostre retribuzioni. Ognuno di noi riferì quanto guadagnava in lire ed Enrico disse “in dollari”, perché in quegli anni teneva lezioni di matematica in diversi Paesi europei ed extraeuropei.
In seguito, caro Enrico, quando venivi a Latina per misurarti i vestiti da Temistocle, il tuo sarto personale, mi telefonavi. Eravamo contenti di incontrarci, di scambiarci notizie, opinioni, “vecchi” ricordi del passato, informazioni sulle nostre attività professionali, sui nostri impegni e progetti per l’immediato futuro e per i nostri sogni non ancora realizzati.
Quando ci incontravamo a Priverno, con Cesare e Camilla, Claudio e gli altri indimenticabili amici, eravamo lieti di stare insieme. Importante fu l’incontro, naturalmente in un ristorante della zona, per dare un nome all’istituendo Museo della o per la Matematica. Dopo un lungo e appassionato confronto, arrivammo a una quasi unanime condivisione e si decise di dar vita (dapprima a Priverno e poi a Firenze) a Il Giardino di Archimede, un Museo per la Matematica.
Quando andavo a Firenze alcune volte abbiamo avuto occasione di stare insieme a Tina e a Gianni. Vivo è il ricordo di una Pasquetta (il lunedì dell’Angelo), trascorsa nella tua abitazione fuori Firenze, delle lunghe “chiacchierate” e scambi di opinioni, di pareri sulla politica locale e nazionale e sullo sport (Enrico era un fervido Interista), di racconti e di aneddoti legati alle nostre comuni origini. Ci piaceva “tuffarci” nei nostri ricordi legati a Priverno, al dialetto, alle nostre usanze e alle nostre tradizioni.
Negli ultimi anni mi ha fatto molto piacere quando mi hai chiamato, sapendo che io ero (e sono) un assiduo frequentatore di “mercatini” di libri “antichi”, per cercare volumi di matematica, a partire dal Seicento, e anche per una consulenza sull’uso corretto di espressioni dialettali, legate al nostro natio borgo. Spero di esserti stato utile per questa ultima ricerca, per la tua pubblicazione del volumetto Awa ‘mpara a contà. Caro Enrico, spero che ti accompagni, nel cammino verso l’eternità, anche il profumo delle caldarroste.
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