L’angolo delle curiosità: Pier Paolo Pasolini

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L’angolo delle curiosità: Pier Paolo Pasolini (24)

Il discorso di Pasolini, in forma di appello o requisitoria, si rivolgeva al cuore di tutti, anche a chi era escluso dal ceto “riflessivo” o intellettuale proprio perché formulato in termini poetici, figurati, affidati alla immediatezza di metafore semplici e potenti. (Filippo La Porta)

          Alcune recensioni di Pier Paolo Pasolini, pubblicate settimanalmente sul Tempo e scritte in Medio Oriente o in Paese remoto dell’Africa, sul set di qualche suo film del periodo orientale, erano fulminanti, intuitive e geniali. Erano così belle che furono raccolte in un libro di cinquecento pagine dal titolo Descrizioni di descrizioni.

          Secondo Ernesto Ferrero Pier Paolo Pasolini «era un marxista segnato dall’educazione cattolica, un mistico sconfitto ogni giorno dalla propria sensualità, un letterato ipercolto e iperdotto cui la letteratura non bastava. Scriveva con i pennelli, con la macchina da presa, con il proprio corpo. Era il più potente degli ossimori di cui si è nutrita la nostra letteratura del Novecento».

          Pier Paolo Pasolini amava giocare a pallone. In un campetto di calcio si allenava con ragazzi. Tutti sapevano che ea il patron, l’allenatore, il capitano, il bomber sin da quando giocava sugli sterrati del Friuli. Per il suo furore agonistico lo chiavano Stukas, come il terribile caccia tedesco. Durante il suo soggiorno a Francoforte, per partecipare alla Fiera del Libro, in un negozio della Adidas comprò per la squadra di calcio magliette, calzoncini e scarpette riempiendo valigie. Quindici giorni dopo lo hanno ammazzato su uno sterrato di Ostia, dove non si potevano nemmeno due calci alla buona.

          Per Pasolini il calcio (lo sport più seguito al mondo) è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. Per lui le due ore di tifo allo stadio erano liberatorie: anche se rispetto a una morale politica o una politica moralistica erano ore qualunque ed evasive.

          Per Rossana Rossanda, fondatrice della rivista, poi quotidiano Il manifesto, Pier Paolo Pasolini fu un intellettuale scomodissimo che non piaceva a nessuno degli intellettuali italiani. Lo scrittore bolognese, uomo dimessamente gentile, in vita detestato, fu l’intellettuale più outsider della nostra società culturale. Degli intellettuali solo Edoardo Sanguinetti, dopo la morte, ha avuto il coraggio di scrivere «finalmente ce lo siamo tolto dai piedi, questo confusionario, residuo degli anni Cinquanta».

          Per Pier Paolo Pasolini i giovani erano il suo mondo, erano le creature della sua vita. Una volta disse «io li conosco questi giovani, davvero, sono parte di me, della mia vita diretta, privata». Nei giovani lo scrittore, regista cercava ostinatamente una luce.

          Nel 1968, quando scrisse la famosa poesia sugli scontri di Valle Giulia, Pier Paolo Pasolini vedeva nello studente il prodotto d’un ceto che può perfino “provare” la rivoluzione, cosa che al poliziotto, figlio di bracciante meridionale, non è permessa. E secondo Rossana Rossanda coglieva una parte di verità.

Sul Corriere della Sera del 19 gennaio 1975, Pier Paolo Pasolini scrisse: «Sono traumatizzato della legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio».

Nella raccolta delle recensioni, dal titolo Descrizioni di descrizioni, Pier Paolo Pasolini ha scritto: «Il fascismo ha un fascino che finora nessuno ha mai voluto non solo ammettere, ma neanche osservare imparzialmente. Esso è stato il “male” in un universo in cui il “bene” era in realtà invincibile. Esso ha profanato qualcosa che non era profanabile. Il fascismo classico è per sua natura conservatore: ha la retorica dei buoni sentimenti e del passato, ha la mania del cosiddetto ordine».

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