don Lorenzo Milani; i suoi scritti

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Don Lorenzo Milani: i scuoi scritti

Un autore più citato che letto                                                                                  Non dobbiamo aver paura di sporcarsi le mani. A che servirà averle pulite, se le avremo tenute in tasca? (don Lorenzo Milani)

Diverse generazioni di sacerdoti, insegnanti ed educatori si sono nutriti degli scritti di don Lorenzo Milani. Personalmente ricordo che, dopo pochi giorni dalla pubblicazione (maggio 1967) della Lettera a una professoressa, comprai subito il libro e incominciai a leggerlo, divorando, pagina dopo pagina, i contenuti stimolanti che conteneva.

Un libro che aprì dibattiti accesi, polemiche in molti ambienti, non solo scolastici, che portarono molti di noi, allora giovani, a schierarsi pro e contro le tesi espresse dal coraggioso priore di Barbiana, morto subito dopo la pubblicazione.

Con il passare del tempo, per approfondire la personalità e la figura di don Milani e per comprendere meglio una delle testimonianze culturali e spirituali più rilevanti del nostro tempo, molte persone incominciarono a leggere altri libri come Esperienze pastorali. Oggi coloro che intendono conoscere la vita e il pensiero di don Milani hanno la possibilità di farlo con l’Opera omnia, raccolta completa delle sue opere, curata da Alberto Melloni e pubblicata da Mondadori nella prestigiosa collana I Meridiani.

Don Lorenzo Milani, ancora oggi, continua ad interrogare le coscienze di laici e cattolici attraverso i suoi libri. Nuovi sguardi vengono proiettati sulla vita, sulla personalità e sull’opera del priore di Barbiana che fu irriducibile a qualsiasi compromesso.

In ordine cronologico, considerando che i suoi primi articoli furono ospitati nel periodico religioso Adesso, diretto da Primo Mazzolari, sacerdote antifascista attivo nella resistenza, che conduceva significative battaglie per il rinnovamento della Chiesa, il primo saggio, pubblicato nell’aprile del 1958, fu Esperienze pastorali.

Il libro, il cui materiale fu raccolto e analizzato negli anni di permanenza a San Donato a Calenzano, conteneva grafici, cartine, dati statistici, materiali documentari rastrellati personalmente o attraverso testimonianze e intendeva rivolgersi agli uomini della Chiesa. Comprendeva riflessioni sulle motivazioni religiose del popolo cristiano che manifestava una religiosità poco essenziale, ma molto formale, circoscritta alla pura ritualità. Infatti nelle prime pagine del libro don Milani si chiedeva esplicitamente «perché la cultura religiosa degli adulti del nostro popolo è praticamente nulla».

Il libro, nonostante che avesse avuto l’imprimatur del cardinale Elia Dalla Costa e soprattutto anticipasse molti temi che furono affrontati, successivamente, dal Concilio Vaticano II, subì stroncature violente da alcune testate autorevoli come La Civiltà Cattolica e Settimana del clero, in quanto il quadro che emergeva era impietoso e imbarazzante per le autorità religiose. Il Sant’Uffizio fece ritirare le copie dal commercio perché la pubblicazione, da parte della Chiesa, fu ritenuta “inopportuna”. E solo recentemente l’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, ha chiesto a papa Francesco di togliere il veto sul libro.

Altro testo fondamentale per delineare il profilo biografico, culturale e spirituale di don Milani è L’obbedienza non è più una virtù scritto nel 1965. Anche questo libro suscitò conflitti con la curia, a volte durissimi, e scontri con i cappellani militari che stigmatizzavano il servizio civile. Don Milani fu accusato di apologia di reato per aver difeso l’obiezione di coscienza, nonostante che un caposaldo del suo pensiero e della sua condotta fosse l’obbedienza responsabile.

Ha scritto Pietro Citati «Amava l’obbedienza: voleva in primo luogo obbedire» e lo stesso don Lorenzo ha scritto più volte: «Sono severamente ortodosso e disciplinato. Nessuno può accusarmi di eresia o di indisciplina. Sono parte viva della Chiesa… Non potrei vivere un minuto se non avessi questa garanzia dell’obbedienza al vescovo… Obbedisco ciecamente. Sono figlio devoto della Chiesa. Accetterei dalla Chiesa qualsiasi umiliazione».

Nel difendersi dopo la Lettera ai cappellani militari toscani (spedita in 800 copie a tutti i giornalisti cattolici, agli amici, ai sindacalisti, agli uomini politici e pubblicata per intero, il 6 marzo 1965) che avevano definito gli obiettori di coscienza «vili ed estranei al comandamento dell’amore», il priore di Barbiana scrisse per la denuncia subìta la Lettera ai giudici. Il processo, che subì, si concluse con l’assoluzione di don Milani per non aver commesso il fatto. Successivamente, poiché il pubblico ministero fece ricorso in appello, don Milani fu condannato a 5 mesi e dieci giorni per istigazione a delinquere, ma la pena risultò inapplicabile per la sopraggiunta morte.

Le pagine della Lettera ai cappellani militari toscani rimangono uno dei testi più implacabili dell’antimilitarismo che provocò aspre reazioni. Al testo seguirono lettere anonime offensive e infamanti, oltre a minacce di ogni genere. In quella occasione don Milani scrisse: «Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri».

Altri scritti importanti sono le Lettere ai familiari, in particolare alla madre (1943-1967) che ha dichiarato di aver conservato «le lettere che Lorenzo mi ha scritto da quando ha cominciato a uscire di casa e in particolare da quando è entrato in seminario».         Lettere significative secondo la madre raccolte «per dare un contributo per un futuro studio biografico del mio figliolo, come è possibile soltanto conoscendo anche i molti dettagli della sua giornata» e necessarie «per completare quanto si può la biografia e spiegare l’atteggiamento di Lorenzo nei momenti più difficili».

Queste Lettere – ha scritto il giornalista, critico letterario e scrittore, Geno Pampaloni – sono «affettuosissime, colme di una confidenza tanto più toccante quanto più virile, franca, animata da quell’ironia che negli spiriti alti testimonia del rispetto di sé e degli altri. Ma sono, senza dubbio, lettere di un prete, felice di esserlo, anche quando le incomprensioni della Chiesa mettono a dura prova quella felicità sino a configurarla come un amaro, testardo orgoglio di natura eroica».

Tra le Lettere pubbliche è bene ricordare la lettera a Pipetta, compagno comunista, con il quale don Milani si schierò accanto per rivendicare il diritto ad avere una casa popolare nel quartiere dell’Isolotto a Firenze; una lettera toccante, commovente che per molti di noi è stato un “cavallo di battaglia” da spingerci a leggerla più volte in pubblico per la sensibilità e la fede evangelica dimostrata nel vivere sempre accanto agli ultimi.

Tra gli scritti più significativi di don Milani non è possibile non citare la celeberrima e ultima epistola della sua vita, Lettera a una professoressa, dedicata all’insegnante Adele Corradi e pubblicata nel maggio del 1967, un mese prima della sua morte, considerata da tutti il suo testamento. Occasione per scrivere questo famoso libro, redatto dagli otto ragazzi di Barbiana, furono le umilianti bocciature di alcuni ragazzi che non superarono, per ben due volte, come privatisti, gli esami di ammissione al secondo anno per la scuola di formazione dei maestri.

Il libro, appena apparso in libreria, ebbe un successo straordinario con milioni di copie e con numerose traduzioni in lingua. È stato uno dei testi che, nel 1968, fu utilizzato dagli studenti per la contestazione giovanile in quanto considerato come una denuncia della scuola nei suoi metodi e contenuti, della emarginazione degli umili, un appello a garantire il principio di uguaglianza.

Pier Paolo Pasolini in una intervista disse: «è un libro veramente bello, scritto con grande grazia, con grande precisione e con assoluta funzionalità…Di questo libro devo dire tutto il bene possibile. È un libro che riguarda la scuola, come argomento specifico, ma nella realtà riguarda la società italiana, la qualità di vita italiana».

 

 


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