LIVORNO – Piovono critiche sulla qualità dei murales livornesi via social. La critica, anche aspra, “Un murales brutto avvelena anche te, digli di smettere” si legge in un post su Facebook, è stata mossa dall’artista e vignettista Stefano Caprina membro del Sodalizio Muschiato e a dargli ragione c’è anche l’amico, il due volte “Maestro” Federico Maria Sardelli, anche lui noto vignettista del Vernacoliere, pittore, direttore d’orchestra, scrittore e intellettuale di altissimo livello. Nei commenti al post i murales vengono giudicati “brutti e infantili”, “troppi, sembra che non si possa lasciare un muro bianco” , “un attacco alla libertà artistica” e ancora “preferivo i murales di Zeb”. Gli interventi sono tutti di persone influenti e conosciute in città, c’è Caprina e Sardelli ma ci sono anche altri, giornalisti, professionisti etc.
I nuovi murales sono davvero molti, decine, l’ultimo, neanche a farlo a posta, è stato inaugurato ieri in via Carlo Bini e sono stati realizzati con il patrocinio, e quindi con il finanziamento, e quindi grazie, al comune di Livorno, e quindi lo si voglia o no, sono opere pubbliche. E si sa che ai livornesi le cose imposte non sono mai state gradite. Nei commenti alle posizioni di Caprina e Sardelli su Facebook si legge chiaramente chi chiede più chiarezza e chi addirittura chiede una petizione per toglierli. È normale dunque e da analizzare, la responsabilità istituzionale e a questo punto la risposta, se ci sarà, a questa piccola “fronda” di giudizi negativi proveniente da ambienti culturali più che affermati, se ci riferiamo a Sardelli, il Vernacoliere e compagnia bella.
Ma cos’è un murales e cos’è la street art? Murales e street art sono parenti strettissimi, intesi come corrente artistica, ma la street art è libera per definizione e realizzata in qualsiasi spazio pubblico o naturale, ed è al di fuori da ogni tipo di ambiente istituzionale, espositivo, museale o ingiuntivo, e spesso è illegale. E questo fa rima sicuramente con l’opera del più importante street artist contemporaneo a livello mondiale, Bansky, di cui il Comune di Livorno è stato lieto di organizzare una mostra, come fa rima con il murales del Parco Centro Città sull’orgoglio queer sfregiato e vandalizzato e con le battaglie contro l’AIDS e l’omofobia del padre fondatore della street art mondiale, Keith Haring, ospitato a Palazzo Blu a Pisa appena un anno fa per una mostra di inediti e per commemorare il leggendario murales gigante vicino alla stazione, Tuttomondo. E non dimentichiamoci dei nostri, del nostro piccolo ma grande Bansky livornese e italiano, e riconosciuto come tale, ovvero Mart Signed, che sembra sia una star solo fuori di Livorno.
Per Mart Signed che ha colorato mezza Livorno con i suoi “Art is a Deasese” ci sono stati paginoni del Corriere della Sera, menzioni su tutte le televisioni nazionali dalla RAI a La Sette, e metà delle città italiane sono state “imbrattate” dei suoi graffiti anti sistema: Milano Parma, Ferrara, Torino, Bologna, con tutti i bersagli politici di rilievo raffigurati e presi in giro in vie e piazze centralissime delle città, Biden, Draghi, Schlein etc. Andando un po’ indietro nel tempo i più grandi ricorderanno anche la firme Zeb e le sue massime dissacranti, altro storico graffitaro livornese, purtroppo scomparso in circostanze misteriose e le trombette di Chubanga, al secolo Patrizio del Sonnino.
Murales e street art sono quindi cose molto simili e la differenza sta solo nella legalità dell’opera: un conto è l’espressione libera, un conto è una maniera di gestire gli spazi, che sono pubblici e sono gli stessi per tutti. Per i murales livornesi patrocinati dal Comune sono state operate convenzioni con il consorzio MuraLi e con lo studio di arte contemporanea Uovo alla Pop, due realtà molto affermate che collaborano a loro volta con molti altri soggetti coinvolti nella realizzazione delle decine dei grandi murales realizzati in questi ultimi tempi. Si parla di consorzi di esercenti, di quartiere, associazioni di beneficenza, Reset, Acchiapparifiuti, Sons of the Ocean, fino ad arrivare all’Arci gay e al Toscana Pride e alle lavoratrici del porto, ma la lista sarebbe lunghissima, vista la quantità delle opere realizzate. Normale che se Caprina e Sardelli e gli altri della “fronda” si sono presi la libertà di dare il proprio giudizio adesso da parte delle istituzioni ci sia la necessità di domandarsi almeno il perché, e la ragione è semplice, i muri, come il cielo, sono di tutti.
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