Nel 1994 uno studio sull’uso dell’elettrochimica per convertire l’anidride carbonica in prodotti utili effettuato dal chimico Andrew Bocarsly, professore presso la Princeton University, non fu preso in considerazione, perché allora non si parlava di cambiamenti climatici dovuti ai gas serra, tra cui l’anidride carbonica. Oggi, invece, si riconosce che l’aumento dei gas serra sta influenzando negativamente l’ambiente, tant’è che negli ultimi quaranta anni il livello atmosferico medio di anidride carbonica è aumentato di oltre il 20%. Per questo motivo, negli ultimi anni, è stato ripreso lo studio del prof. Bocarsly che potrebbe risolvere il problema. Estrarre una parte dell’anidride carbonica dall’atmosfera e trasformarla chimicamente in qualcosa di utile porterebbe apporterebbe ovviamente un doppio vantaggio. La prof. Laura Gagliardi, direttrice del Center for Theoretical Chemistry – Università di Chicago sostiene che la conversione dell’anidride carbonica può essere effettuata tramite due vie: elettricità o calore. Entrambi i processi avverrebbero in presenza di un catalizzatore (a base di rame e ossido di bario, nano-particelle di bismuto, ossido di rame, ecc.) che risulta utile al fine di ridurre l’energia (elettrica o termica) richiesta. La prof. Gagliardi sostiene che l’elettrocatalisi può risultare più “verde” della catalisi termica, mentre per il sequestro dell’anidride carbonica, al fine di ridurre i livelli di gas serra, si devono considerare entrambe le opzioni. Come prodotti chimici si possono ottenere alcool etilico e alcool propilico, che sono ottimi combustibili, acido formico, che è usato come detergente e nella produzione chimica e tessile
Il prof. Bocarsly sostiene che: “Fino a 10 o 20 anni fa, le persone erano molto scettiche sul fatto che saremmo mai stati in grado di convertire la CO2 in qualcosa di utile che non fosse così costoso che nessuno sarebbe stato interessato ad acquistare. I tempi sono cambiati e le persone stanno iniziando a pensare che sia commercialmente fattibile. … Non c’è dubbio che ciò accadrà”. Ovviamente le affermazioni di Bocarsly sono quantomeno ottimistiche, in quanto c’è anche il problema della sostenibilità ambientale sulla valutazione del ciclo della vita (LCA), relativo al «metodo oggettivo di valutazione e quantificazione degli impatti ambientali associati al prodotto o al servizio, lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime al fine vita». A questo proposito la prof. Roberta Gagliardi sul quotidiano “il fatto quotidiano.it” del 14 marzo scorso ha scritto un post dal titolo: I carburanti bio e sintetici sono poco sostenibili, rimandare le e-car (n.d.r. auto elettriche) danneggerà solo l’industria. (Da un articolo del blog della Società Chimica Italiana https://ilblogdellasci.wordpress.com/).
Proprio ieri, 25 marzo 2023, la Commissione europea e la Germania (ci si chiede perché solo con la Germania?) hanno raggiunto un’intesa al fine di permettere la produzione e l’uso di motori termici che usino soltanto gli e-fuel, carburanti sintetici a impatto zero, costituiti da idrogeno H2 con aggiunta anidride carbonica (L’idrogeno deve essere prodotto per elettrolisi dell’acqua H2O con l’uso di energia rinnovabile: eolica, solare, ecc.), al posto di quelli tradizionali, anche dopo il 2035, anche se la produzione al momento risulta essere ancora molto costosa e limitata.
L’Italia però ha proposto di inserire anche i bio-fuel (prodotti ENI da mais, soia, colza, girasole, oli vegetali di origine industriale, scarti di legno, concimi di origine animale), che però l’UE considera non a impatto zero sul fronte delle emissioni.
Francesco Giuliano
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