Ada Negri

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Ada Negri                                                                                                          Una poetessa dimenticata

Le donne sono state confinate nel mondo dei sentimenti, perché il mondo degli uomini è definito un mondo di azione, forza, abilità direttiva e capacità di distacco, quindi le donne sono divenute le depositarie della sensibilità.                                                           Susan Sontag

          Ada Negri (Lodi 1870 – Milano 1945), nacque in una famiglia di umili origini, molto povera; il padre Giuseppe era manovale e la madre, Vittoria Cornalba, tessitrice. Passò l’infanzia e l’adolescenza nella loggia da portiera dove lavorava la nonna.

È stata una poetessa e scrittrice del tutto dimenticata, che esordì con poesie di ispirazione sociale e umanitaria che ottennero immediati e vasti consensi. A Milano, da giovane, poté entrare in contatto con l’ambiente del socialismo riformista ed ebbe modo di conoscere Filippo Turati, Anna Kuliscioff e Benito Mussolini. Riuscì ad acquistare notorietà nell’ambiente letterario e successo presso il grande pubblico.

Intorno alla sua opera e alla sua figura venne a crearsi sin da subito il mito della poetessa selvaggia e incolta, la «vergine rossa», la maestrina «proletaria senza nome». Molte sue poesie venivano imparate a memoria perché erano presenti nelle antologie scolastiche.

Personalmente ho studiato a Veroli, in provincia di Frosinone, in un istituto a lei intitolato. Sebbene di umili origini, Ada Negri fu insegnante elementare chiamata «la maestrina» e fece parte, come prima e unica donna nel 1940 dell’Accademia d’Italia.

Ada Negri, sensibile alle condizioni sociali della povera gente, fu un nome di spicco del socialismo umanitario delle origini del primo Novecento. La tematica umanitaria, femminista e socialista è presente nella sua vasta produzione letteraria. Infatti nelle sue opere Fatalità (1892), volumetto di versi con il quale divenne famosa, Tempeste (1896) e Maternità (1904) dominano temi sociali.

Con queste opere per la prima volta entrò nella poesia italiana il mondo operaio delle fabbriche, la desolazione delle periferie cittadine, i paesaggi della Lombardia industrializzata della fine dell’Ottocento e vi entrò con intensa immediatezza, con verità e calore. Ma la sua poesia e la sua impeccabile ed essenziale prosa, nel corso degli anni, si fanno sempre più interiori, più profonde e cristiane.

Con Il libro di Mara (1919), I canti dell’isola (1924) e Il dono (1936) la poetessa lombarda, infatti, si avvicinò ad un ideale cristiano della vita. Nei suoi scritti affiora a più riprese la sua religiosità. Nelle ultime raccolte, soprattutto ne Il dono, la poesia s’illumina della fede religiosa e dell’amore divino che svelano il mistero della vita e il perché del dolore.

Toni elegiaci e inquiete introspezioni caratterizzano i versi di gusto dannunziano e di tono quasi diaristico contenuti in queste raccolte. In Stella mattutina (1921), opera scritta in una prosa vivace e fresca, un romanzo autobiografico, la poetessa ha rievocato le umili origini e gli stenti della sua fanciullezza povera e dolorosa.                  Le successive raccolte poetiche confermarono questo impegno sociale e poi si volsero “all’orecchiamento” della poesia di Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio con toni monotoni.

Come poetessa e novellista, oltre ad essere stimata da Rainer Maria Rilke, fu molto amata da donne e lettori italiani prima dell’inizio della Prima guerra mondiale e durante il periodo tra le due guerre mondiali. Dopo la morte, avvenuta al termine della Seconda guerra mondiale, finì nella damnatio memoriae post-bellica.

            Negli anni della guerra e nel suo ultimo periodo di vita Ada Negri, sola e sofferente, ripiegandosi su sé stessa in un sommerso soliloquio, si rifugia nella religione e nella preghiera. Una delle sue poesie, la preghiera «tu mi cammini a fianco, o Signore. Orma non lascia in terra il tuo passo. Non vedo te, ma sento e respiro la tua presenza in ogni filo d’erba, in ogni atomo d’aria che mi nutre», potrebbe essere una invocazione da pronunciare di fronte alla bellezza della natura.

 

 


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