La Neuroestetica tra Arte e Cervello

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di Sergio Salvatori

Nella prima metà del 1700 nasce la disciplina dell’Estetica compiuta dal filosofo tedesco Alexander Gottlieb Baumgarten, ma è grazie alle neuroscienze e agli studi sul cervello che nell’ultimo ventennio possiamo beneficiare delle basi scientifiche della neuroestetica.  Fino ad un po’ di anni fa sembrava che solo gli artisti ed i filosofi si potessero occupare della natura del bello, ma oggi anche gli studiosi del cervello hanno il coraggio di occuparsi dello stesso argomento.  La prestigiosa rivista scientifica “Nature” ha dedicato all’incirca nel 2006, un fascicolo con il tema “Artisti sulla scienza: scienziati sull’arte” che offriva insieme riflessioni di artisti e studiosi del cervello sul tema della vera natura dell’arte.  Oggi grazie alla tomografia ad emissioni di positroni (PET) un tempo impensabile, ma oggi molto diffusa che è in grado di fornire immagini che svelano momento per momento le funzioni delle diverse regioni cerebrali, anche le attività della nostra vita, le emozioni  sono tradotte nel linguaggio delle cellule nervose, perciò, nessuna meraviglia se un tempo si è cercato l’amore romantico, oppure esperienze mistiche, mentre oggi è il tempo dell’estetica.  I principi della disciplina della neuroestetica fondata nel 1994 dal professore di neurobiologia Semir Zeki docente dell’University College di Londra sono talmente evidenti, da poter apparire indiscutibili: un’opera d’arte è concepita ed apprezzata grazie ad attività svolte nel cervello dell’essere umano, il tutto sembra essere tradotto in un linguaggio scientificamente aggiornato, la più nota affermazione kantiana: “ Il bello è ciò che piace in modo disinteressato, senza scopo”.  Perciò c’è un’idea del bello a cui la nostra anima attinge.  Nel 1909 Vasilij Kandinskij scrive nello spirituale nell’arte che “il colore è un mezzo per esercitare un influsso diretto sull’anima.  Il colore è un tasto.  L’occhio è il martelletto.  L’anima è un pianoforte con molte corde.  L’artista è la mano che con questo o quel tasto porta l’anima a vibrare”.  Il giudizio di gusto non è dunque un giudizio di conoscenza, cioè logico, ma estetico.  Gli artisti vedendo il modo di operare del cervello, d’istinto, lo saprebbero stimolare in maniera da produrre effetti sensoriali ed emotivi che si traducono nell’esperienza estetica: l’artista in modo inconsapevole sarebbe con la sua opera, un neuroscienziato che si esprime con il linguaggio dell’arte, in seguito tradotto nel linguaggio della scienza.  Il cervello visivo afferma Zeki dedica un’attenzione di privilegio alle arti visive, che costituiscono il corpo principale della sua esplorazione ai confini della neurobiologia con la bellezza.  Zeki inoltre ha dimostrato con tecniche di “neuroimaging, secondo i canoni rigorosi dettati dalla comunità scientifica internazionale, che la contemplazione di un dipinto attiva regioni differenti nella corteccia cerebrale dell’essere umano a seconda che esso sia giudicato bello o brutto.  Alcuni artisti hanno sentito il bisogno di dividere il colore dalla forma nell’esperienza visiva, in questo modo riprendendo inconsapevolmente il modo di operare del nostro cervello.  Matisse, fra questi amava impiegare i colori in maniera “sbagliata”, non corrispondente alla realtà.  Il nostro cervello sa riconoscere l’appropriatezza dei colori rispetto agli oggetti sulla base delle esperienze visive già acquisite è sorpreso, per così dire, da questa novità, di cui non ha immagazzinato alcuna memoria.  Se questo accade nel cervello, sul versante del nostro vissuto, un dipinto fatto così ha un forte impatto espressivo ed emozionale.  Si rapporta anche il punto di incontro delle opere di Piet Mondrian, impostate sull’uso della linea retta, come anche di Kazimir Malevic, pioniere dell’astrattismo geometrico, alla presenza di regioni cerebrali che riproducono immagini di linee rette nella percezione delle forme, che il grande artista sa cogliere, perché l’arte dipenderà sempre dalla nostra sensibilità, dalla formidabile grammatica del “sentire” che ha una relazione con l’animo umano, o per gli scienziati dovremmo contemplare l’arte con gli occhi della scienza?


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