LATINA- “C’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo”, scrive Fabrizio De Andrè ne “Il Bombarolo”.
Ieri mattina in Commissione Sicurezza si discuteva di Via Epitaffio, palcoscenico di tante tragedie. Ricordo Stefania Ferrari, ad esempio. Perse la vita rientrando dalla festa dei suoi diciotto anni, scontrandosi con il tronco di un pino in direzione Latina Scalo.
Prende la parola Zaccheo. Comincia a discutere di sicurezza stradale, educazione nelle scuole, rotatorie e punti luce. Ad un certo punto quella voce dal tono inconfondibile, che in vita mia avrò ascoltato mille e mille volte, s’interrompe.
Passano i secondi e la voce di Zac sembra afona, nessuno degli altri Consiglieri Comunali interviene. Alzo lo sguardo rapito dallo smartphone. C’è Vincenzo Zaccheo che, dominato dall’emozione, si commuove.
Io lo so quelle lacrime da dove vengono e perché accarezzano il volto di uno degli uomini politicamente più in vista di questa città.
Il 27 marzo 1964, lungo una strada abruzzese, a bordo di una Ford Taunus, sono in viaggio Elsa Francesconi, Lugi e Lorenzo Zaccheo. Rispettivamente la mamma, il papà ed il fratello diciottenne di Vincenzo Zaccheo. Erano diretti a dare l’ultimo saluto ad un amico di famiglia, il Prof. Cordeschi.
Non torneranno a Latina vivi: Elsa e Luigi moriranno lo stesso giorno, il povero Lorenzo a distanza di 48 ore, il 29 marzo.
I funerali del piccolo Lorenzo, un ragazzo brillante che passava le nottate a studiare la grammatica russa, si svolsero presso la Chiesa dell’Immacolata. Presente tutto il Campo Profughi. Lorenzo, infatti, era forse l’unico autorizzato ad entrarvi. Si dedicava anima e corpo a quella gente, sopperendo ai loro bisogni ed alle loro mancanze.
A Vincenzo Zaccheo mi legano un affetto ed una stima che nessuna distanza politica, differenza ideologica potranno mai intaccare. Questa mattina ne ho colto tutta la sensibilità, la grande umanità che contraddistingue l’Uomo a cui, non da oggi, voglio molto bene.
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