L’angolo delle curiosità: Pier Paolo Pasolini

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Il vivere sempre alla presenza di se stesso, sulla punta della spada, e l’incantarsi davanti alla vita, bloccata in episodi chiusi e stupendamente nostalgici, del suo paese, era forse dovuto al suo essere in parte straniero. (Pier Paolo Pasolini)

 Il 16 giugno del 1968 lo scrittore, poeta, critico letterario, sceneggiatore, regista, traduttore (dal greco e dal latino) Pier Paolo Pasolini pubblicò la famosa poesia sugli scontri di Valle Giulia a Roma fra i giovani contestatori del Sessantotto in corteo e i poliziotti della Celere. La poesia suscitò grande scandalo. Il poeta scrisse ai «figli di papà»: «io simpatizzo con i poliziotti perché sono figli dei poveri».

Per Pier Paolo Pasolini il più bel personaggio dei Promessi sposi è Renzo (che è una proiezione nostalgica del Manzoni, il simbolo della salute e dell’integrità), insieme a don Abbondio e Geltrude (la peccatrice), mentre il poeta di Casarsa considera orribili il Cardinal Borromeo, l’Innominato, Fra Cristoforo e Lucia.

Pier Paolo Pasolini, il 14 settembre 1975, qualche settimana prima della tragica scomparsa avvenuta all’alba del 2 novembre, assassinato all’Idroscalo di Ostia, giocò l’ultima partita di calcio con la Nazionale Artisti presso lo stadio Ballarin a San Benedetto del Tronto. Pasolini aveva una passione divorante per il pallone. Non riusciva a stare distante dai campi di gioco. Tracce di questo sentimento per il calcio si possono rintracciare negli  anni giovanili di Bologna, nelle estati friulane a Casarsa e anche a Roma. Con lui giocavano Ninetto Davoli, Giorgio Bracardi, Franco e Sergio Citti. Per il poeta di Casarsa il calcio era l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo.

Il partito comunista gli fu sempre ostile, fin da quando, nel 1949, lo espulse per «indegnità morale», cioè per  omosessualità, fino alla morte. Fra gli intellettuali di sinistra (Carlo Salinari, Franco Fortini, Edoardo Sanguineti) Alberto Asor Rosa lo definì “populista” e Pasolini disse: «L’uomo che mi ha fatto più male nella mia vita».

Nelle Lettere di Pier Paolo Pasolini sono documentati la morte del fratello Guido le tensioni con il padre, l’affetto per la madre, l’omosessualità, gli anni di Casarsa (quando scriveva in dialetto), la fuga a Roma, le amicizie con gli scrittori e con i critici più autorevoli (a cominciare da Gianfranco Contini), i consigli sulla scrittura (ad Arbasino e a Ottieri), le polemiche ideologiche, i rapporti con gli editori e con gli scrittori (Sereni, Ungaretti, Calvino, Bassani, Sciascia, Fortini, Leonetti, Roversi etc), il lavoro frenetico, il passaggio dalla povertà al benessere e i processi. L’intero epistolario dimostra la varietà degli interessi umani, artistici e culturali che ebbe nella sua vita.

Pier Paolo ha profetizzato tante  volte la sua morte. Ha scritto: «Sotto un tiglio tiepido di verde/cadrò nel nero/ della mia morte che disperde/ i tigli e il sole».

Lo scrittore Enzo Siciliano, che è stato amico personale dello scrittore-regista Pier Paolo Pasolini si è posto nella Vita di Pasolini questi interrogativi: «Perché Pasolini è stato ucciso in quel modo? Quale il significato di quella morte? Cosa aveva rappresentato come scrittore e uomo d’azione intellettuale?

In occasione del centenario pasoliniano sarebbe opportuno che molti giovani, a cui Pasolini ha dedicato tante delle sue riflessioni, incontrassero a scuola l’opera del “poeta di Casarsa” che si espresse con i romanzi, gli interventi giornalistici e i film.

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