Indelebili ricordi di guerra

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Le emozioni provate nei primi anni di vita, e altre sensazioni che hanno suscitato gioia o dolore, lasciano tracce indelebili che condizioneranno le nostre azioni e reazioni nell’intero corso dell’esistenza. (Rita Levi-Montalcini)

Il soffio del vento della memoria porta a riflettere sulle diverse stagioni della vita, in particolare dell’infanzia, dell’età dell’innocenza, dell’inizio dell’indecifrabile cammino di ogni esistenza umana.

L’infanzia, periodo della vita compreso tra la nascita e i primi dodici anni, di solito viene distinta in tre fasi molto importanti per lo sviluppo psico-fisico e per la crescita intellettuale e sociale di ogni essere umano. Stagione “magica” della vita, l’infanzia è l’età delle domande e delle scoperte, ma anche della curiosità. Gli anni trascorsi in questo periodo della vita sono decisivi, incancellabili, costituiscono la memoria individuale che incide sul percorso dell’intera esistenza umana.

Ha scritto lo scrittore russo  Fëdor Dostoevskij nel suo capolavoro I fratelli Karamazov che «non c’è nulla di più elevato, di più forte, di più  sano e di più utile nella vita che un bel ricordo, specialmente se è un ricordo dell’infanzia, della casa, di persone care…Se un uomo riesce a raccogliere molti di questi ricordi per portarli con sé nella vita, egli è salvo per sempre». La memoria dell’infanzia è un tesoro da difendere, un patrimonio da custodire e uno dei mondi e dei valori supremi da proteggere.

La mia infanzia, essendo nato il 2 aprile del 1939  (domenica delle Palme), cinque mesi prima (1 settembre) dell’inizio dell’invasione tedesca della Polonia e dello scoppio della Seconda guerra mondiale, è stata caratterizzata dalla mancanza di serenità e di gioia, dall’incertezza di sopravvivere agli eventi bellici, dalla paura delle bombe, dall’impossibilità di frequentare con regolarità la scuola e di giocare in felice  spensieratezza con i compagni d’infanzia.

La mia famiglia, per i catastrofici avvenimenti della guerra è stata costretta a sfollare nelle montagne dei Monti Lepini, quelle stesse zone che sono state teatro di guerra e sfondo del romanzo e del film, La ciociara, di Alberto Moravia e di Vittorio De Sica.

Questi eventi di guerra hanno lasciato incancellabili ricordi anche nella mia memoria uditiva: il rombo degli aerei e l’assordante rumore delle bombe, sganciate dal cielo, e delle frastornanti cannonate, che ancora oggi, risuonano nelle mie orecchie procurando timore, senso di panico per le massicce distruzioni di ambienti familiari, strade, ponti di collegamento con Priverno il mio paese natio. Durante questi drammatici momenti di spavento mio padre, per proteggermi dai bombardamenti, mi obbligava a restare per lunghe ore sotto una panca, aumentando così ulteriormente la mia angoscia di morire schiacciato.

La mia infanzia non è stata un’età spensierata, perché privata della gioia di vivere serenamente con i miei genitori e familiari, di giocare con i miei pochi amici durante il periodo del forzato abbandono della casa. Soltanto la sera potevo all’aperto vedere, da lontano, le poche luci che illuminavano il paese ormai abbandonato da gran parte della popolazione.

Ricordo con nitidezza il terribile e angoscioso momento in cui mio fratello Luigi si distaccò dal resto della famiglia  per raggiungere la località monte sant’Angelo, meta del nostro rifugio, che mai raggiunse perché fu costretto a unirsi all’esercito regolare italiano. Testimonianza di questo terribile periodo è la lettera che mio fratello scrisse, dopo alcuni giorni, a mio padre.

Altro indelebile ricordo è la visita che mia madre  fu costretta a fare in paese per rendersi conto dei  gravi danni che la casa aveva subito dopo il bombardamento avvenuto nell’aprile del 1944 a Largo Cellini, a pochi metri dalla nostra abitazione.

Durante il tragitto, nella località “Quattro strade” mia madre fu fermata da una pattuglia di soldati tedeschi che aveva il compito di impedire l’accesso al paese. Un soldato si avvicinò a me, che ero biondo, mi accarezzò e con un  gesto di commozione ordinò di lasciarci passare.

Altra memoria è il ritorno di mio fratello Mario dopo le vicende dello sbandamento dell’esercito avvenuto in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943. Il suo drammatico racconto, fatto di paure per i pericoli, incontrati nella galleria ferroviaria di Montorso (tra la stazione di Monte San Biagio e Priverno), e di lacrime versate per lo sgomento “di non farcela”, si è decisamente fissato nella mia mente e nella memoria di me bambino.

Strascichi di ricordi sono legati anche al periodo della fine della guerra, quando scarso era il cibo per una sana nutrizione e quando i bambini della mia stessa età erano costretti a giocare tra le macerie dovute ai bombardamenti e a non frequentare regolarmente la scuola.

Questi brevi racconti, legati a profondi e incancellabili ricordi infantili, confermano le idee, espresse rispettivamente  dal regista Federico Fellini e dallo psichiatra Eugenio Borgna che «Non esiste uomo, anche avanzato negli anni, che non abbia conservato dentro di sé la sua parte di bambino», e «l’infanzia continua a vivere e non si cancella in noi, se ci si educa ad ascoltarne le voci segrete».

Ancora una volta il soffio del vento solleva il profumo gradevole delle viole che accompagna i lontani ricordi della mia infanzia, legati alla guerra.

 

 


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