Come noto, nelle scorse settimane, sulla spiaggia di Sabaudia è uscito allo scoperto un esteso strato di tufo, riconducibile con ogni probabilità alle emissioni del preistorico vulcano dei Colli Albani, rimasto in attività, secondo gli esperti in materia, fino a 5.000 anni fa o, retrocedendo nel tempo, addirittura fino a 36.000 anni fa. Dai Castelli Romani alla provincia di Latina: una distanza considerevole, a testimonianza di un’energia eruttiva di grande potenza.

A portare in emersione questi scogli d’importante interesse geologico le forti mareggiate che nei mesi scorsi hanno imperversato su tutto il litorale pontino, erodendo metri e metri di spiaggia.

Una scoperta di importante valenza scientifica, che l’alta marea ha nuovamente occultato, non prima però che studiosi ne abbiano documentato la presenza e raccolto campioni su cui allargare il campo delle indagini.

A fotografare, filmare e segnalare gli scogli venuti alla luce, per la precisione, sull’arenile antistante il poligono di tiro di Sant’Andrea, è stato Nicolò Calì, non nuovo a simili esperienze per aver già rinvenuto tracce della stessa natura sia nelle profondità marine sia in altre zone del territorio pontino.

Dopo lo sconosciuto fortino in località Bufalara, ecco riemergere dal mare di Sabaudia i reperti di un lontano vulcano ormai quiescente.

La conferma che le onde marine prima prendono e poi finiscono per restituire quanto tolto, riportando in superficie sorprendenti reperti.

Tuttavia ciò non esclude che il contrasto all’erosione continui ad essere per la città del Parco una delle priorità da affrontare con competenza e giusta determinazione


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