Dal Libro: Racconti pandemici Postfazione di Rino Caputo

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Postfazione  di Rino Caputo

I «Racconti pandemici», raccolti da Antonio Polselli, sono raggruppati sotto i cartellini di «Ricordi Testimonianze Riflessioni», predisposti «per le generazioni future».

I testi delle autrici e degli autori che hanno contribuito al volume seguono coerentemente tali indicazioni e nulla ci sarebbe da aggiungere. Le voci narrative che parlano, pressoché tutte in prima persona diretta o indiretta, raccontano la loro esperienza della realtà pandemica, esterna e, di contro, interiore, ma, sempre, insieme, soggettiva e soggettiva.

E allora, può bastare tutto questo, così? Il fatto è che, nel deposito testuale, la scrittura significa, anche inconsapevolmente, qualcosa di diverso, un altrove della parola che trasforma le cose (già) vissute e perfino (già) dette.

La scomparsa inopinatamente tragica del familiare o dell’amico, oppure degli altri individui, produce il plusvalore della pena acuta, del rammarico profondo e dell’angoscia di una forse fallimentare o addirittura inesistente speranza.

Il rimedio a tale condizione persistente e, talora, temuta come progressivamente devastante è l’espressione dei sentimenti che si fa, appunto, riflessione generale, stato d’animo epocale, ben al di là dei contorni delle fasi più e meno acute della pandemia.

Da sempre il dolore di sé e dei cari vicini ha spinto donne e uomini, giovani e vecchi, a considerare la sorte contrastiva del genere umano, nato a vivere e, tuttavia, destinato alla fine.

Tutto ciò, nei secoli passati, causava un comportamento pratico e intellettuale immediato e evidente: il «contemptus mundi», il disprezzo delle cose mondane; con gli esiti ben noti dell’appartarsi dal consorzio sociale ovvero dell’isolamento aprioristico e, perciò, forse, rasserenante

Oggi, la società di massa, pervasa di totalizzante comunicazione, non consente facilmente una tale pratica agli individui e ai gruppi che sono, piuttosto, inclini a rimpiangere ciò di cui la pandemia ha privato: la cosiddetta “normalità” del contatto, impedita dal (rischiosamente crescente) contagio e la circolarità dello scambio tanto emozionale quanto economico; fino a considerare un dato positivo ciò che per l’innanzi era considerato disvalore e, cioè, il parossistico incremento dell’«ipertensione sociale», come si connota in ambito sociologico la degenerazione del vivere umano in società, soprattutto nelle concentrazioni urbane, nelle inarrestabilmente popolose megalopoli.

Il presente libro ospita interventi e contributi nati a Latina (e non solo), durante la fase acuta e ancora imprevedibile della pandemia, nel 2020, soprattutto.

A voler cogliere le peculiarità stilistico-tematiche, gli abitanti di Latina, scrittrici e scrittori, poetesse e poeti, non sembrano discostarsi da una più generale reazione, pressoché planetaria, alla pandemia. E, tuttavia, è possibile apprezzare qualche aspetto davvero specificamente e talora, perfino simpaticamente pontino.

Il «genius loci» della Palude consente a tutti coloro che sono riusciti a «dire la pandemia» un intreccio stretto e spesso tra paesaggio e stato d’animo. La Città come i suoi borghi, come l’entroterra agricolo, non più rurale bensì industrializzato, come lo stesso digradarsi dei monti Lepini fino al mare del Circeo, sembra condividere la più globalizzata rappresentazione drammatica che, però, viene condita «da una cotal sua dolcezza»; sicché il tragico si scioglie spesso in patetico ovvero nella consolazione che solo la fede, ogni fede per chi crede, può dare.

Ecco perché emblematico appare il motto, solo apparentemente retorico, di Corneille apposto all’inizio dal curatore Polselli. Come già aveva detto Francesco Petrarca, prima dell’epigono francese, alunno pedissequo attento e solidale: «Perché, cantando, il duol si disacerba».

E in tal modo Latina diventa, organicamente e sorprendentemente, la cornice del racconto, della testimonianza e della riflessione, non meno di Atene, di Firenze,, di Milano, di Algeri, per citare, pur senza implausibili paragoni, referenti eccezionali.

E per «le future generazioni» sarà proprio questa scrittura di «racconti pandemici» a cementare il senso dell’appartenenza e della continuità, ben oltre ogni riduttiva ossificazione ideologica.

In ciò, davvero, «a malo bonum!», la pandemia diventa per Latina occasione di ricordo, testimonianza e riflessione ma, anche, di riscatto individuale e collettivo.

 

 

 


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