LATINA – L’indagine “Scarface” della Dda di Roma ha portato nella giornata di ieri all’applicazione di 33 misure cautelari nei confronti di altrettanti appartenenti al clan “Di Silvio”. Numerosi sono i passaggi all’interno dell’ordinanza che tratteggiano le modalità d’azione del clan capeggiato da Giuseppe Romolo Di Silvio. «Tenete la città di Latina in mano»: con queste parole il boss, dal carcere di Rebibbia, impartiva gli ordini ai suoi affiliati per la gestione dello spaccio e delle estorsioni ai danni di commercianti del capoluogo pontino.
Innanzitutto, vi erano le richieste di denaro, sempre più ingenti, alle vittime che si vedevano costrette a consegnare tali somme per paura di ritorsioni. Cifre sempre più alte e che il clan utilizzava per finanziare le numerose attività illecite che gestiva. Minacce le quali, tuttavia, si facevano sempre meno esplicite, meno dirette; a quest’ultimi infatti bastava nominare il proprio cognome per far si che la vittima capisse, utilizzando dunque il metodo tipicamente riconducibile alle mafie “caratterizzato dalla prospettazione di ogni possibile ritorsione in chiave plurale: dalla spendita del cognome quale segno di appartenenza, al sodalizio, al riferimento ai precedenti giudiziari degli appartenenti al gruppo per coartare la volontà delle vittime”.
In questo modo i membri del clan di Silvio assoggettavano negozi, ristoranti, pub e locali notturni i cui titolari erano costretti a piegarsi alle minacce. E’ il caso di un noto ristorante laziale, ad esempio, dove al ristoratore che cercava di sottrarsi all’imposizione di Costantino Di Silvio detto “Costanzo” veniva risposto: «Sono Costantino da Latina…Ohhh… Di Silvio». O ancora, di una frutterà cittadina, presso la quale le donne della famiglie andavano a ritirare prodotti ortofrutticoli senza mai corrispondere il denaro dovuto; senza contare alcuni pub della zona movida di Latina e non solo, nei quali il clan lasciava enormi debiti consumando senza pagare e spendendo il proprio cognome come elemento di intimidazione.
Le misure cautelari arrivate ieri, 27 in carcere e 6 domiciliari, sono state eseguite per accuse che vanno dunque dall’associazione per delinquere di tipo mafioso al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, nonché estorsione, sequestro di persona, furto, detenzione e porto abusivo di armi. Il procedimento, che vede indagate complessivamente 50 persone, è nato dopo alcuni raid punitivi ai danno di commercianti e gestori di locali della movida avvenuti a Latina nel 2019.
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