“In questa pandemia i vaccini sono la chiave di volta per un ritorno alla normalità, ma dobbiamo continuare, ancora per un po’ di tempo, a convivere con le norme di contenimento che ci hanno accompagnato nell’ultimo anno e mezzo, vale a dir: uso delle mascherine, distanziamento e lavaggio delle mani”, afferma Miriam Lichtner, direttore del reparto di malattie Infettive dell’ospedale Santa Maria Goretti di Latina e professore associato alla facoltà di medicina di Sapienza Università di Roma..
Tante le malattie curate nel suo reparto: polmoniti, infezioni osteoarticolari, meningiti, malattie tropicali, epatiti virali, la sifilide, l’infezione da HPV e HIV e altre…
L’HIV, l’avevamo messa nel dimenticatoio. Quindi, questa malattia esiste ancora, professoressa?
Purtroppo si. Anche se tante cose sono cambiate da allora. Le terapie sono molto efficaci e hanno “normalizzato” la vita dei sieropositivi. Ad esempio è da parecchi anni che non nasce un bambino sieropositivo da una mamma con HIV. Le terapie oggi sono ben tollerate anche se devono durare per tutta la vita al momento. Una delle novità più eccezionali è che se una persona si cura, non è più contagiosa. La cosa più importante è la diagnosi precoce, facendo il test.
Quanti sono i pazienti assistiti dal vostro reparto?
Ne abbiamo circa 600. Alcuni sono in cura dal lontano 1991. Li chiamiamo i “sopravvissuti”. Ogni anno però ci sono una trentina di nuove infezioni. E sono di tutte le età. Quest’anno l’età media è di 46 anni.
Veniamo al Covid. Lei in piena emergenza sanitaria disse: «E’ come svuotare il mare con un cucchiaino», asserendo però che l’ospedale stava rispondendo bene. E’ stato difficile stabilire chi rimandare e chi tenere?
Noi abbiamo cercato di accogliere tutti. Chi arrivava in ospedale in condizioni molto gravi, aveva pochissime chance di sopravvivere. Eravamo impotenti all’inizio, ma poi ci siamo organizzati, abbiamo utilizzato farmaci innovativi, seguendo le linee guida in continuo aggiornamento, come da ultimo i monoclonali. Con i colleghi abbiamo dovuto prendere decisioni importanti. Tra tutte che la ventilazione invasiva fosse l’ultima opzione, a favore del casco, ventilazione non invasiva. E poi di adottare per i malati le stesse cure in tutti i reparti. Questo ci ha fatto acquisire dei risultati importanti.
Quanti sono stati i pazienti Covid? E quanti i morti?
I pazienti sono stati 2550. I decessi, soprattutto nella seconda fase, 375. Tantissimi.
Le malattie infettive sono diventate negli ultimi anni un problema sanitario emergente e il ruolo dello specialista infettivologo è fondamentale. Come si sta attrezzando la medicina territoriale al riguardo?
Il nostro sistema sanitario per come è stato strutturato è uno dei migliori al mondo. Abbiamo la sanità ospedaliera, territoriale, avevamo i consultori, i centri di salute mentale e altro. Dico avevamo, perchè con la crisi economica, tante cose sono state smantellate e mai più rimpiazzate. Stessa cosa per il personale sanitario. Chi è andato in pensione non è stato sostituito.
Si è purtroppo risparmiato su una struttura pensata davvero bene. E questo ha portato a indebolire un assetto funzionante e eccellente.
Quali strumenti servono perché il sistema sia preparato a gestire un’altra possibile emergenza?
Io parlo da infettivologa. Il modello però è lo stesso ovunque. Ed è quello di un’alta specializzazione che sappia dialogare con il territorio e che partendo dall’alto riesca ad arrivare nelle case dei pazienti. Le faccio un esempio: ci sono delle patologie croniche che richiedono terapie prolungate. Invece di tenere il malato in ospedale ad occupare un posto, le cure si possono fare anche a casa. Qui a Latina per fortuna è così. Abbiamo un buona collaborazione con i colleghi del CAD, Centro Assistenza Domiciliare. I malati, che non lasciamo mai soli, quando possibile, prendono tranquillamente i farmaci ospedalieri senza venire ricoverati.
Parliamo dei vaccini. E dei centri vaccinali
I centri vaccinali hanno riacquistato un’importanza enorme con il Covid. Noi da anni diciamo quanto siano importanti i vaccini. La vaccinazione per il morbillo, per esempio. Qui a Latina abbiamo avuto varie epidemie brutte, anche con decessi. Questi centri sono tornati alla ribalta in seguito a questa pandemia. Negli ultimi anni sono stati indeboliti, tanto che era a volte difficile l’accesso alla vaccinazione. Noi sappiamo per certo che la gente vuole essere vaccinata e il cittadino se lo chiami viene. E’ vero che ci sono i no vax, ma sono una percentuale piccola. Negli ultimi mesi ci sono state delle recrudescenze di malattie che non vedevamo da parecchio tempo e in un mondo globalizzato come il nostro esse si espandono presto. Le possiamo prevenire solo con i vaccini.
Quando si fa una campagna vaccinale si devono sempre monitorare i sintomi e ogni sintomo sospetto va riportato. E’ d’accordo che è stata fatta un po’ di confusione? Con Astrazeneca, soprattutto. Prima si, poi no….
Sono state date indicazioni diverse nel giro di poche settimane. Molto prudenti all’inizio, per poi tornare sui propri passi. Questi studi sui vaccini sono stati fatti secondo le regole, con protocolli di studi rispettati, ma con tempi molto veloci. Una cosa è se io lancio un vaccino in un tempo lungo. Un’altra cosa se lo lancio in tempi rapidi. Bisogna capire quali sono i rischi e quali benefici. E’ stato detto, ma non sempre nel modo giusto.
A che punto siamo ora?
L’epidemia non è finita. I dati dal mondo sono ancora preoccupanti. Questa è una fase molto buona perchè il virus non sta circolando tanto in Italia. Sappiamo tutti però che l’oscillazione è fisiologica. La prova del nove sarà a settembre, quando potremo vedere l’effetto dei vaccini. Le varianti sono molto più diffusive e contagiose rispetto al ceppo originale. L’unica salvezza è la vaccinazione.
Le mascherine servono ancora? Il messaggio di toglierle all’aperto è giusto?
La mascherina rimane ancora uno strumento fondamentale. A noi operatori sanitari che siamo entrati in contatto non so quante volte con persone super contagiose, ha protetto molto. Non le nego che all’inizio eravamo tutti spaventati. Avevamo paura di infettare i familiari. Poichè non possiamo contare solo sulla vaccinazione, dobbiamo continuare ad utilizzare tutti gli strumenti che portano all’obiettivo: distanziamento, lavaggio delle mani, mascherine, etc.
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