Ultimo mese per riscoprire l'”Onorevole e antico cittadino di Firenze”

Il Bargello per Dante fino all'8 agosto

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Il catalogo della mostra edito da Mandragora

FIRENZE- Nella Sala dell’Udienza dell’allora Palazzo del Podestà, oggi Salone di Donatello del Museo Nazionale del Bargello, nel 1302 Dante venne condannato all’esilio definitivo; nell’adiacente Cappella del Podestà, poco più di trent’anni dopo, Giotto lo ritrasse nella schiera degli eletti in Paradiso. Come si spiega questa repentina riabilitazione di colui che diventerà il poeta fiorentinoper eccellenza?

La mostra ospitata in questi mesi al Bargello, è il risultato delle ricerche svolte negli ultimi anni nel tentativo di rispondere a questa domanda. Il comitato scientifico, composto da eminenti studiosi dell’Università di Firenze, affiancati da esperti dell’Opificio delle Pietre Dure, della Biblioteca Laurenziana e dell’Accademia della Crusca, hanno realizzato un’esposizione di altissimo livello allo scopo di raccontare al grande pubblico la primissima ricezione della Commedia a Firenze.

La Cappella del Podestà

Come sottolinea il filologo dantesco Luca Azzetta: “Quando noi leggiamo la Commedia di Dante non leggiamo soltanto un libro, ma leggiamo un libro così come ci è stato consegnato da una storia lunga sette secoli”. La tradizione interpretativa de il Dante (così era chiamato all’epoca il best seller dantesco) ebbe origine proprio a Firenze nei decenni immediatamente successivi alla morte del poeta, e si configurò come una rilettura postuma, a tratti manipolatoria, dei testi. Dante compose l’opera in esilio e prima di morire rinnegò Firenze nella celebre Epistola a Cangrande, definendosi fiorentino per nascita ma non per costumi. Eppure, secondo quanto sostiene Teresa De Robertis, illustre paleografa, l’operazione consapevole di riappropriazione della figura di Dante da parte della città è evidente nella scelta dalla scrittura utilizzata dai copisti nella realizzazione dei numerosi manoscritti: si tratta del notarile, carattere tipico fiorentino, che manifesta l’intento municipale di legare indissolubilmente la Commedia a Firenze.  La decisiva ribalta di Dante passa anche per la cappella del Podestà, dove venne effigiato nella parete orientale tra le anime sante del Paradiso. Grazie alla nuova campagna di indagini sulle pitture e agli studi di Sonia Chiodo, professoressa di Storia dell’arte medievale all’Università di Firenze, sono emerse novità interessanti: l’opera, sulla cui paternità e sul cui significato si è dibattuto molto, è stata attribuita ufficialmente a Giotto tramite evidenze cronologiche e, mediante l’analisi iconologica, è stato dimostrato che si tratta verosimilmente dell’Alighieri intellettuale e personaggio storico.

La mostra è un’occasione da non perdere per riscoprire questo capolavoro giottesco misconosciuto e camminare circondati da opere d’arte e manoscritti meravigliosamente miniati che sembrano catapultarci nella Firenze del secondo quarto del ‘300 tra notai, copisti, pittori e miniatori ai quali siamo tanto debitori della visione odierna del sommo poeta.

Pacino di Bonaguida fu un grande pittore e miniatore: il suo Albero della Vita è in prestito alla mostra dalla Galleria dell’Accademia

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