Viaggio nell’arte del secondo Novecento: Minimal Art

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Minimal Art 

Ovunque nel mondo, gli esseri umani sembrano essere incapaci di vivere senza l’arte.

Desmond Morris

Minimal Art (o Minimalismo) è quella tendenza artistica che si è sviluppata negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni Sessanta del Novecento nella pittura e nella scultura, ed è stata solennemente consacrata dalla celebre mostra Strutture primarie  (New York, 1966). Essa si fonda, infatti, sul concetto di “struttura” intesa non solo come fatto tecnico-formale, ma anche di metodo: una concezione strutturalistica elementare che la pone tra l’Arte povera e l’Arte concettuale, e nel contempo la fa apparire anche come sintesi tra Optical ArtPop art.                             

Secondo il critico d’arte Gillo Dorfles in questa corrente, che si caratterizza con un atteggiamento analitico e razionale nei confronti del processo artistico, «si può rinvenire la confluenza da un lato del concretismo e dello strutturalismo e dall’altro del rifiuto dell’edonismo pop».

 La Minimal Art, il cui termine fu coniato nel 1965, sulle pagine della rivista newyorkese Art Magazine, dal filosofo britannico Richard Vollheim (1923-2003), si è proposta come alternativa alle diverse declinazioni dell’espressionismo astratto, caratterizzandosi per la drastica riduzione o semplificazione delle forme con preferenza per le strutture primarie, per le forme geometriche elementari, per gli elementi modulari e seriali e dei colori puri (fino al monocromo) e per lo spostamento d’interesse dagli elementi soggettivi ed espressivi dell’opera a quelli strutturali e percettivi.

Scopo del minimalismo era semplificare, azzerare, ridurre ai minimi termini gli elementi essenziali dell’arte. La grammatica minimalista è composta da solidi regolari, sagome dai profili netti e grandi strutture modulari:     sequenze aperte e seriali realizzate con materiali freddi di natura industriale o edilizia, dal plexiglas al vetro, dalle lastre metalliche al neon. Il linguaggio della Minimal Art è improntato alla più assoluta freddezza e assenza  di ogni impatto emozionale.

In questa tendenza sono rintracciabili echi riguardanti la serialità della produzione industriale o della concezione dello spazio urbano negli Stati Uniti d’America sia da parte degli scultori che dei pittori, che cercano volutamente nelle loro opere artistiche di escludere ogni coinvolgimento emotivo da parte del fruitore.

I maggiori rappresentanti di questa corrente artista, che ha avuto come suoi precursori i pittori americani Barnett Newman, Ad Reinhardt e Mark Rotko. sono  Donald Iudd (1928-1994) con le sue imponenti strutture seriali (parallelepipedi in plexiglas laminato), Karl Andre che, nel portare alle estreme conseguenze i presupposti formali e concettuali dell’astrazione geometrica di Piet Mondrian e Kazimir Malevich, ideò delle sagome da pavimento in materiali diversi (pesanti lastre di rozza lamiera percorribili), Robert Morris che, oltre al metallo, si è servito del legno e delle materie plastiche (grandi forme di feltro) e Tony Smith, le cui opere si distinguono per la sobrietà e purezza delle sue costruzioni. A questo artista il Museum of Modern Art (MoMA) nel 1970 ha dedicato una grande mostra.

L’opera di Donald Judd Senza Titolo (Pila) -1967 -, che si trova presso il MoMa di New York, è composta di dodici parallelepipedi identici, realizzati industrialmente, disposti sulla parete sovrapponendoli verticalmente e lasciando una misurata e identica distanza tra ogni elemento.

Nello stesso museo si trova l’opera 144 quadrati di piombo (1969) di Karl Andre che rivoluzionò l’idea stessa di scultura come oggetto da contemplare, ponendo spesso le sue strutture in orizzontale e invitando lo spettatore a camminarci sopra. Dall’accostamento di unità geometriche elementari di produzione industriale usate senza manipolazione, Andre compone opere pensate e realizzate in rapporto al luogo espositivo, prive di qualunque intento narrativo o allusivo.

Altre opere che si ispirano alla corrente minimalista, esposte al MoMa, sono quelle di Robert Morris (Senza titolo 1969) che ha utilizzato la scultura, il disegno, la pittura e anche film video, performance, installazioni e costruzioni ambientali.

Altri artisti di questo movimento sono Dan Flavin e Bruce Nauman che nelle loro opere hanno fatto ricorso all’inserzione di  strutture formate da elementi luminosi (tubi al neon) e Chris Willmarth che ha adoperato nella sua produzione lastre opache e irregolari di vetro a contatto con elementi metallici.

In Italia i seguaci di questa tendenza sono stati alcuni scultori come Icaro, Lorenzetti, Pierelli, Pardi, Gandini, Carrino e anche Perizzi e Aldo Calò. Si sono accostati alle ricerche del minimalismo anche Piero Dorazio e Giuseppe Uncini.

La Minimal Art, come tendenza artistica più vicina alla freddezza e alla vuota inespressività della pop art,  può essere inquadrata per la portata innovativa tra le avanguardie del secondo Novecento perché ha lasciato un terreno di ricerca fertile ancora oggi.

 


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