Viaggio nell’Arte del secondo Novecento: Arte Povera

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Arte Povera

L’artista è un ricettacolo di emozioni che vengono da ogni luogo: dal cielo, dalla terra, da un pezzo di carta, da una forma di passaggio, da una tela di ragno.                                           Pablo Picasso

L’Arte povera, nel panorama delle neoavanguardie del secondo Novecento, si è affermata alla fine degli anni Sessanta (1966) in Italia tra Roma e Torino, Bologna e Milano, quando nel nostro Paese avviene il passaggio dalla società contadina alla società industriale e moderna del boom economico.

Come movimento dell’arte italiana, l’Arte povera si pone come anello di congiunzione tra le esperienze informali e materiche di Alberto Burri (1915-1995), e quelle vicine alla poetica neo dada di Piero Manzoni (1933-1963) degli anni Cinquanta e la ricerca artistica operata successivamente al 1968.

Il clima intellettuale, in cui si sviluppa il dibattito sull’Arte povera, è caratterizzato da alcuni elementi fondamentali: il grande fermento culturale che lega importanti città italiane e l’attenzione sempre più forte verso la produzione artistica internazionale che permette una rivalutazione di movimenti, quali il futurismo o la metafisica, proprio nell’ottica di una presenza dell’Italia sulla scena europea e statunitense.

L’Arte povera è un’arte che utilizza materiali poveri, non solo in quanto di scarto ma di elementare semplicità, e li manipola il meno possibile, affidando alla loro semplice esibizione il significato dell’opera.

Come movimento artistico riconducibile all’arte concettuale, l’Arte povera si distingue per il rifiuto dei mezzi espressivi tradizionali e per l’impiego di materiali umili, “poveri”, non raffinati, “non artistici” di origine naturale (carta, stracci, pezzi di legno, terra, acqua, pietra, gesso, cemento, ferro, vegetali, paglia) accostati talvolta a materiali artificiali, scarti industriali come plastiche e tubi al neon. Nel privilegiare questi materiali s’intende ritornare, come ha scritto la critica d’arte Lea Vergine «alla naturalità come matrice esistenziale» della vita e della quotidianità.

Gli artisti, che appartengono a questa corrente, rifiutano l’oggetto artistico tradizionale, realizzato con tecniche e materiali convenzionali. I materiali dell’Arte povera sono assunti nella loro espressività primaria e immediatezza sensoriale e spesso sono proposti sotto forma di installazioni in stretto rapporto con l’ambiente o con le “azioni” uniche, irripetibili e casuali dell’artista, evidenziando il processo del fare.

 L’Arte Povera, secondo il principale teorico italiano, critico d’arte, Germano Celant, che mutuò il termine dal teatro di Jerzy M. Grotowski, consiste essenzialmente «nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi», fondamentalmente mentali e fisici. L’espressione “povera” si opponeva a quella «ricca ed involuta perché basata sull’immaginazione scientifica, sulle strutture altamente tecniche, sui momenti polisensi».

I principali esponenti dell’Arte Povera sono stati Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Mario Ceroli, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Jannis Kounellis, Mario e Marisa Merz, Pino Pascali, Paolo Icaro, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Gianni Piacentino, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio.

Questi artisti hanno in comune il favore accordato a materiali “non privilegiati” e un’attenzione per l’oggetto “banale” e di uso quotidiano. Ciascuno di questi artisti si è distinto per una propria e originale poetica; molti possono essere accomunati dall’interesse per la dimensione energetica e vitale dei materiali come i massi di pietra di Anselmo, il fuoco delle fiamme ossidriche o gli animali vivi di Kounellis, le fascine e gli igloo di Merz, gli interventi di Penone su alberi e vegetali. Una linea più marcatamente concettuale è espressa dai lavori di Alighiero Boetti e Giulio Paolini.

Nel panorama internazionale delle neoavanguardie l’Arte povera trova ampie corrispondenze in ricerche analoghe avviate negli stessi anni in altri Paesi, come in Germania con Joseph Beuys (1921-1985) e, sotto diverse definizioni, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.

La ricerca e le opere dell’Arte povera hanno contribuito a cambiare profondamente il clima artistico dell’Italia, ad allargare i confini nazionali e a mutare i concetti di artista e di pubblico, costituendosi come il più importante momento dell’arte italiana del secondo dopoguerra.

 


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