Qualche giorno fa, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, vista l’impossibilità dei partiti della recente maggioranza di ricostituire un nuovo governo, ha incaricato il prof. Mario Draghi, per la grande stima e per le profonde competenze che ha manifestato in campo economico-finanziario sia a livello nazionale che internazionale, a formare un governo istituzionale. Un governo da costituire nel più breve tempo possibile che sia necessariamente rispondente all’attuale crisi pandemica Covid-19 e ai relativi problemi socio-economici e occupazionali, e a elaborare un progetto ben articolato per ottenere il contributo europeo della Next Generation Eu. Dalle varie consultazioni è emersa che una parte politica abbia fatto la richiesta di costituire un “governo dei migliori”. “Migliori in che senso? Un governo aristocratico che sia composto dagli aristoi, dai migliori, cioè dai cittadini che il filosofo greco antico Platone, nel suo saggio dialogato La Repubblica, riteneva che fossero tali né per blasone, né per diritto o per benessere ma lo fossero per conoscenza e saggezza; cioè tali cittadini fossero i filosofi? Ma un tal governo potrebbe degenerare, in quanto coloro che impiegano le loro qualità nell’amministrazione dello stato sogliono capitare gravi inimicizie private, perché, volendo ciascuno essere il primo e prevalere con i suoi pareri, vengono a grandi inimicizie fra loro, e da queste nascono discordie, come sosteneva lo storico greco antico Erodoto, vissuto nel V secolo avanti Cristo, ne Le storie (82). Allora, come ha sostenuto il filosofo austriaco Karl Popper (1902 – 1994),democratico liberale, nel saggio La società aperta e i suoi nemici (1945), il vero problema della scienza politica, che si adatta molto bene alla situazione italiana attuale, non è posto dalla domanda “chi deve governare?”, ma dalla domanda “come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi ed incompetenti facciano troppo danno?”. In una società aperta, come quella italiana, in cui ogni individuo è libero di organizzare la propria vita, libero di manifestare un comportamento critico, libero di fare satira, libero di prendere decisioni usando la propria intelligenza, a chi è affidato il compito di governare serve una grande fantasia, un’efficace creatività, una maturità organizzativa e la formulazione di nuove ipotesi da falsificare, cioè da sottoporre ad un controllo rigoroso. In questo ambito, allora, risulta fondamentale rispettare la legge di Hume, la quale sancisce che, nel realizzare effettivamente provvedimenti legislativi, bisogna operare in modo da distinguere e separare “ciò che è” da “ciò che deve essere”, cioè le dichiarazioni (che spesso sono fatte gratuitamente dai politici nostrani) dalle prescrizioni (che sono disposizioni da mettere in atto che spesso vengono disattese). In una società aperta, inoltre, il potere politico deve controllare il potere economico a cui non deve essere concesso di dominare il potere politico; se ciò si verificasse il potere politico dovrebbe essere in grado di ricondurlo sotto il suo controllo. In una società aperta, inoltre, il politico non può e non deve essere un dogmatico che, convinto di possedere una verità assoluta, non si rende conto che eventi singolari, nuovi orizzonti, l’affermarsi di teorie innovative possano smentirla, come spesso avviene. Per questo succede sovente che un politico dogmatico commetta ingiustizie spesso gravi. E, a proposito dell’ingiustizia, il filosofo Platone, già citato, sostiene “che il commettere ingiustizia sia per natura un bene, il subirla un male, e che il subirla sia un male maggiore di quanto non sia un bene commetterla; di conseguenza, quando gli uomini commettono ingiustizie reciproche e provano entrambe le condizioni, non potendo evitare l’una e a scegliere l’altra sembra loro vantaggioso accordarsi per non commettere né subire ingiustizia. Di qui cominciarono a stabilire leggi e patti tra loro e a dare a ciò che viene imposto
dalla legge il nome di legittimo e di giusto. Questa è l’origine e l’essenza della giustizia, che sta a metà tra la condizione migliore, quella di chi non paga il fio delle ingiustizie commesse, e la condizione peggiore, quella di chi non può vendicarsi delle ingiustizie subite. Ma la giustizia, essendo in una posizione intermedia tra questi due estremi, viene amata non come un bene, ma come un qualcosa che è tenuto in conto per l’incapacità di commettere ingiustizia; chi infatti potesse agire così e fosse un vero uomo, non si accorderebbe mai con qualcuno per non commettere o subire ingiustizia,perché sarebbe pazzo.” (libro II,17, La Repubblica).
Francesco Giuliano
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